Anvil: Never Enough

Anvil: Never Enough

Domanda: cosa accomuna Keanu Reeves, Slash, Dustin Hoffman, Lars Ulrich, Michael Moore, Lemmy e il quotidiano Times di Londra? Risposta: un’incudine.
Non stiamo ovviamente parlando di passione per la metallurgia medievale, bensì dei canadesi Anvil (in inglese «incudine», appunto), probabilmente la band più sfortunata di tutta la storia della musica, la cui travagliatissima carriera, iniziata nel 1978, ha finalmente (e meritatamente) trovato la giusta strada dopo la pubblicazione del film documentario Anvil – The Story Of Anvil, presentato con successo al Sundance Film Festival del 2008 (dove vinse il Premio del Pubblico) per poi ottenere numerosi premi internazionali – fra cui un Emmy – e definito proprio dal quotidiano britannico «probabilmente il più grande film mai realizzato sul rock and roll» (Michael Moore si è «limitato» a considerarlo «il migliore documentario degli ultimi anni»…). E in occasione della loro unica data italiana del tour promozionale legato al nuovo album (intitolato orgogliosamente Anvil Is Anvil), programmata al Circolo Colony di Brescia lo scorso 9 aprile, grazie all’agenzia KezzMe Ltd. ho avuto l’onore di incontrare Steve “Lips” Kudlow, voce e chitarra della band, che insieme all’inseparabile drummer Robb Reiner è l’anima di uno dei gruppi musicali (completato dal nuovo bassista, Chris Robertson) per i quali la definizione «leggenda» è – nel bene e nel male – tutto fuorché esagerata.

Lo scorso febbraio avete pubblicato il vostro sedicesimo album, intitolato Anvil Is Anvil: quali sono, secondo te, le principali differenze con il precedente Hope In Hell, uscito tre anni fa?

Beh, abbiamo un bassista che sa cantare! Scherzi a parte, dall’ingresso nella band di Chris, un paio di anni fa, possiamo dire di avere un grande bassista in grado di supportare i brani con backing vocals che rimandano direttamente ai primi Anvil, oltre a fare un lavoro strumentale che supera qualsiasi basso e qualsiasi chitarra ritmica mai avuti nella storia del gruppo. Penso che Chris sia il miglior bassista mai avuto dagli Anvil, e con una grande voce!

Gli Anvil sono considerati una «true heavy metal band», ma le vostre liriche sono sempre state piuttosto distanti dai cliché legati a un certo ambito metal (demoni, maghi, re, guerre, Satana…). Se, infatti, avete spesso trattato tematiche di grande attualità (come in Gun Control o in Die For A Lie, nell’ultimo album), molti dei vostri testi sono accostabili più all’ambito hard rock che a quello metal (e penso a Hard Time – Fast Ladies, At The Apartment o Show Me Your Tits): cosa puoi dirmi di questa attitudine positiva che da sempre caratterizza il vostro songwriting?

Si è trattato sempre dell’ambiente in cui vivevo, di ciò che c’era attorno a me. Ad esempio, nei primissimi anni di carriera, ai tempi del primo album, ero un punk ventenne in un gruppo di punk ventenni che si trovavano per la prima volta on the road, e l’unica cosa che volevamo fare era scopare! Ogni giorno i nostri discorsi erano: «come l’hai fatto», «quando l’hai fatto» o «come lo farai», ma quello era l’ambiente, e quello influenzava anche i testi. E lo stesso è accaduto, ad esempio, con il terzo album in brani come Shadow Zone o Winged Assassins, che esprimevano il disgusto verso la guerra e la possibilità di un conflitto nucleare (era il 1983, ndr), perché quella era la situazione. O nel 1987, con una canzone come Paper General, incentrata sull’abbattimento dell’aereo della Korean Air Lines da parte dei russi con la morte di 300 persone, che penso ricorderai. O con il brano Doctor Kevorkian (su Plugged in Permanent, del 1996, ndr), che tratta il tema dell’eutanasia, un argomento sul quale ho sentito il bisogno di dire qualcosa. Qualche volta sono tornato su tematiche che ruotano intorno al sesso, ma quando è capitato ho cercato di farlo in una maniera in un certo senso più «intelligente», utilizzando terminologie differenti, come in Mattress Mambo, dove utilizzo i nomi di diversi tipi di ballo anziché entrare troppo nei dettagli… Tornando al nuovo album, recentemente sono stato coinvolto in un cortometraggio musicale in cui interpretavo un pirata chiamato Captain Snarls, diretto da Spookey Ruben, che mi ha detto: «Se volessi scrivere una canzone, sarebbe davvero bello!»; così sono entrato in Internet per cercare le tipiche canzoni dei pirati, e quando ho scoperto che non erano state scritte da pirati, ma da autori di musical e colonne sonore ho pensato che avrei potuto farlo anch’io, e traendo ispirazione anche dal film I Pirati dei Caraibi ho scritto un testo, che è uscito molto bene: non sapevo se gli altri ragazzi della band avessero mai ascoltato roba simile, ma a dimostrazione che ogni idea può essere utile abbiamo registrato la parte musicale e il risultato è stato ottimo, tanto che abbiamo inserito la canzone del nuovo disco (l’opener Daggers And Rum, ndr). Insomma, ogni testo che scrivo deriva dalla vita di tutti i giorni: da ciò che mi circonda, da cosa vedo in televisione, da ciò di cui parlo con le persone, dalla gente che incontro, dai luoghi che visito… Tutto qui.

Recentemente mi sono imbattuto in un libro intitolato 1001 film da vedere prima di morire, e sfogliandolo ho ovviamente riconosciuto titoli più che noti (Rain man, Guerre stellari, Casablanca, Il Padrino…); ma, ad un certo punto, ecco che trovo Anvil – The story of Anvil, cosa che – non lo nascondo – mi ha in parte sorpreso, non fosse altro per il fatto che vi avrei incontrati a distanza di una settimana! Ebbene, tutti sono al corrente dei premi e dell’accoglienza positiva ottenuta dal documentario: ma cosa significa essere autori e protagonisti di un film considerato così importante?

Fondamentalmente significa che non dovrò più consegnare pasti ogni giorno per tutta la vita o preoccuparmi di portare avanti un lavoro quotidiano, trovandomi invece nella condizione di potermi dedicare interamente alla musica, e sarà probabilmente così per il resto della mia vita! Vedi, ho 60 anni, e nei quasi dieci anni trascorsi da quando abbiamo realizzato quel film non ho più avuto il bisogno di avere un lavoro regolare, ed è questo il vero grande affare! Insomma, cos’altro potrei chiedere di più? Faccio ciò che mi piace, finalmente vengo pagato per farlo e ciò mi permette di vivere: come potrebbe andare meglio? E non si tratta di diventare milionario, o di pensare alla pensione, o di farmi una villa nel sud della Spagna: si tratta di avere una vita, di darle un senso come essere umano, di dare un significato alla mia esistenza. Ed è questo ciò di cui tutti abbiamo bisogno.

38 anni di carriera, 16 studio albums, un’infinità di concerti in tutto il mondo, alti e bassi incredibili, successi e delusioni: e dopo tutto questo ogni sera avete ancora il desiderio di salire su un palco diverso per suonare la vostra musica davanti ai vostri fans. È passione, un sogno ancora vivo o cos’altro?

È il piacere di essere in grado di farlo. Ma è un piacere di quelli di cui non hai mai abbastanza. Pensi che avrai mai abbastanza del sesso? Potrai mai chiederti: ho amato abbastanza? Sono cose di cui non avrai mai abbastanza! È come trovarsi in punto di morte e chiedere: «Datemi ancora un giorno!» È una questione di «ancora», di andare avanti, di non volersi fermare. Vuoi vivere ancora? Ecco, è la stessa cosa! It’s never enough!

E all’«it’s never enough» di Lips si sovrappone l’«it’s never enough time right now» del precisissimo road manager, che dopo 10 minuti e 30 secondi sancisce la fine dell’intervista. Avrei avuto un’infinità di altre domande da fare al loquacissimo Lips, dall’approfondire l’argomento della sua estrazione punk all’abitudine degli Anvil di usare tre parole per i titoli dei loro album, fino a un accenno alla mia passione per l’hockey su ghiaccio, presumibilmente condivisa da un canadese dell’Ontario come lui.

Ma pazienza, sarà per la prossima volta. Perché ci saranno altri dischi firmati Anvil, così come ci saranno nuovi concerti, nuovi tour e – ovviamente – nuove interviste, tutti elementi di quel sogno che per Steve Kudlow e Robb Reiner è finalmente diventato realtà, a dimostrazione che – proprio come per un fabbro che nel calore della fucina forgia un oggetto prezioso – pazienza e tenacia prima o poi vengono premiate: l’importante è battere sempre sullo stesso punto, con la stessa forza e con lo stesso obiettivo, convinti che quando mollare tutto sembra l’unica soluzione, la cosa migliore da fare è mostrarsi più duri del metallo che si vuole modellare.
Insomma, Anvil is Anvil.