Fabio Alessandrini (Annihilator): Oh Canada…

Fabio Alessandrini (Annihilator): Oh Canada…

Fra le pietre miliari del Metal mondiale, l’esordio dei canadesi Annihilator – il meraviglioso Alice In Hell – occupa ancora oggi un posto di assoluto rilievo. In oltre tre decenni di carriera, la creatura del chitarrista Jeff Waters risulta fra le poche realtà ad avere mantenuto un livello qualitativo costante, senza sprofondare in crisi creative o degenerare con il solo scopo di garantirsi una effimera sopravvivenza.
E mentre la leggenda continua, nella sua edificazione è entrato a far parte Fabio Alessandrini, giovane batterista che da Ravenna ha spiccato il volo verso una terra che ha regalato al mondo musicisti eccezionali, lo sciroppo d’acero e l’hockey su ghiaccio, e che ho interpellato per farmi raccontare la sua storia, passando poi la penna a Davide Truzzi, boss della nostra webzine, per una doverosa parentesi dedicata ai motori.

(Luca) Inizierei con un quesito che presumo piuttosto diffuso: come ha fatto un batterista romagnolo a finire in quel di Ottawa, Canada, approdando nientemeno che alla corte di Sua Maestà Jeff Waters?

Prima di tutto, i miei più sinceri complimenti per aver creato e portato avanti una piattaforma che unisce due delle mie più grandi passioni: l’Heavy Metal e le auto veloci!

Tornando alla domanda: è stato piuttosto semplice! Per diverso tempo portai avanti con un gruppo di amici una band che, nonostante l’impegno e i soldi spesi, non riuscì mai davvero a decollare. Così, a fine 2015, decisi di investire il mio tempo nello studio della batteria. Gli Annihilator rappresentavano (e rappresentano!) interamente i miei standard tecnici e melodici, così decisi di partire con gli studi da Alice in Hell. Nel giro di qualche giorno postai la cover del brano Alison Hell su Youtube, ma fu soltanto dopo qualche mese che riuscii a recuperare l’indirizzo e-mail di Jeff. Senza troppe pretese gli mandai un messaggio e spensi il computer, ma il giorno dopo mi accorsi che aveva risposto già dopo qualche minuto! Così mi chiese un altro video (No Way Out, dall’album Feast) e il giorno dopo glielo mandai. Da lì iniziammo a parlare e, probabilmente, notò la mia passione per lo stesso tipo di musica (Van Halen, Rush, Ted Nugent, Riot…), tanto che dopo qualche giorno mi spedì un biglietto aereo per Ottawa! Non ti dico l’ansia al pensiero di incontrarlo, anche se tutto si risolse quando venne a prendermi in aeroporto con la sua Camaro del 2012 e per tutto il viaggio ascoltammo gli Slayer: credo fu in quel momento che capì che c’era una bellissima connessione fra noi due. Furono due settimane davvero intense, e ancora ricordo che la prima volta che suonai Set The World On Fire dovetti fermarmi perché mi sembrava surreale. Ora sono già passati cinque anni, e credo di averla suonata almeno 200 volte dal vivo!

(Luca) Fra i numerosi musicisti che si sono avvicendati sul seggiolino da batterista che ora occupi, spiccano nomi del calibro di Randy Black, Alex Landenburg e Mike Mangini: non ti sei sentito sotto pressione nell’andare a ricoprire questo ruolo, sia per la tua giovane età, sia per il fatto di entrare a far parte di una delle band più importanti nella storia del Thrash Metal come successore di cotanti maestri?

Bellissima domanda! Penso che per vivere la vita pienamente devi saper accettare tutte le sfide che il destino ti pone. Finché suoni con i tuoi amici è facile sentirsi dire «Sei bravissimo!», «Finalmente un vero batterista!», «Lui in studio ci mette cinque minuti a registrare un disco di un’ora!» e cose del genere. Ma è quando ti confronti con la realtà e il vero talento che capisci di essere solamente una goccia in un oceano di musicisti validi. Sapere di dover replicare le parti di Mike Mangini, Randy Black e Ray Hartmann (il mio batterista Thrash preferito di sempre) può determinare due cose: deprimerti o darti la carica per migliorarti, e nel mio caso sono successe entrambe! Quello che fa la differenza è non abbattersi a tal punto da voler mollare, cercando invece di trovare quel pizzico di originalità o fare uscire la propria personalità per differenziarsi da quei mostri sacri. Per quanto mi riguarda, dimostrare a ogni prova e a ogni concerto che si sta migliorando o che si sta comunque provando a farlo è quello che ha sempre pagato, anche a distanza di anni. Uno dei capisaldi del mio pensiero si basa su quello che disse in un’intervista Todd Sucherman, batterista degli Styx: «Puoi essere il batterista più veloce e tecnico del mondo, ma se te ne vai dalla sala prove con gli altri musicisti senza aver sorriso nemmeno una volta e senza lasciare l’impressione di essere una buona persona, difficilmente ti richiameranno».

(Luca) Il tuo disco d’esordio con gli Annihilator è l’ottimo Ballistic, Sadistic. Nel raccogliere informazioni prima di questa intervista, mi sono imbattuto in un database dove era scritto che l’album è stato registrato interamente da te e Jeff Waters, oltre ad assegnarti l’accredito esclusivo di tutti i brani: puoi confermare – o rettificare – queste informazioni?

È quasi tutto giusto! Considero il mio disco d’esordio Triple Threat: non è propriamente un disco, ma un live album (e DVD) registrato nell’estate del 2016 fra Canada e Germania, testimonianza del mio terzo live in assoluto con la band registrato al Bang Your Head, lo stesso giorno di Testament e Twisted Sister (sullo stesso palco con Gene Hoglan e Mike Portnoy, da un paesello vicino Ravenna!?). Ricordo di avere passato una giornata piena di emozioni, con la mia ragazza che si era dovuta sorbire da sola un viaggio che includeva un aereo e almeno cinque treni nelle campagne tedesche, oltre all’incontro post-concerto con un mio caro amico che, purtroppo, è venuto a mancare qualche giorno fa (ciao Happy!).

Successivamente è uscito For The Demented, che è stato scritto e registrato da Jeff con la stessa formula di tutti i dischi precedenti a partire dall’album eponimo del 2010. Il lavoro dietro a Ballistic, Sadistic è iniziato nel Novembre 2017, mentre eravamo in tour con Testament e Death Angel. Per questo album volevamo un ritorno ai riff e alle atmosfere dei primi due lavori, quindi Jeff ha avuto l’idea di farmi registrare più di 300 (trecento!) groove di batteria che avrebbe poi usato per le nuove canzoni e, una volta finita la pre-produzione, sono andato in Inghilterra (dove ora Jeff risiede e ha uno studio) per registrare le batterie che senti nel disco. Quindi, sì: si può dire che sia stato scritto a quattro mani, nei limiti delle capacità compositive mie e dello strumento! Ma mi emoziona ancora aprire il booklet e leggere «Waters, Alessandrini» sotto ogni canzone!

(Luca) Il 2020 è stato un anno disastroso per ogni tipo di attività, ma la musica è stata particolarmente colpita da divieti e limitazioni che hanno di fatto annientato questo settore, a qualsiasi livello. Avendo pubblicato l’album in gennaio, come avete affrontato una situazione che – di fatto – ha impedito la sua promozione in tour?

Il primo pensiero va ovviamente a tutte le persone colpite da questa terribile situazione e a quelle che hanno perso familiari e amici per colpa di questo orribile virus. Noi, nonostante tutto, siamo stati fortunati a concludere un tour di oltre due mesi in tutta Europa fra ottobre e dicembre 2019, in cui abbiamo suonato qualche canzone da Ballistic, Sadistic. Nell’estate 2020 avremmo dovuto intraprendere un run di festival estivi con Coburn Pharr alla voce per celebrare i 30 anni di Never, Neverland (il mio disco preferito degli Annihilator) e probabilmente un tour invernale in cui la scaletta sarebbe stata un mix fra il secondo e l’ultimo disco. A livello di promozione live è sempre difficile portare un nuovo lavoro per intero, ed essendo io stesso un fan della band mi aspetterei che la scaletta fosse un misto dei primi due, qualcosa da Set The World On Fire e King Of The Kill, un paio di pezzi dei dischi degli anni 2000 e tre/quattro canzoni degli ultimi due album. Il rischio di proporre troppo materiale dagli ultimi lavori rischia di trasformarsi in un «Drum Solo Pt. 2» in cui la gente va in bagno o a prendersi da bere! Quindi, tutto sommato, non direi che sia stato un danno irreparabile per la band, anche se sono convinto che serva comunque qualche mese prima che nuovi i pezzi entrino nel cuore dei fans e siano richiesti dal vivo.

(Luca) Guardando invece al futuro, cosa ti aspetti dal 2021? E quali sono gli eventuali programmi con gli Annihilator?

Spero che in questo 2021 una grossa fetta della popolazione riesca a vaccinarsi, riportando la situazione a qualcosa che somigli alla normalità per come la conoscevamo, ma ci vorrà sicuramente diverso tempo prima che ciò accada. Per quanto riguarda gli Annihilator, invece, il fatto che ognuno di noi viva in posti molto distanti ostacola in maniera sostanziale qualsiasi tipo di lavoro. Al momento, purtroppo, non c’è niente di confermato: Jeff ha ultimato i lavori per il suo studio e sta re-mixando lavori di qualche anno fa per un’eventuale pubblicazione; Rich da qualche mese ha una bellissima bambina e porta avanti i lavori di mix, produzione, registrazione e mastering nel suo studio; e Aaron riesce a svolgere quasi normalmente il suo lavoro di insegnante di musica in Canada.

Personalmente, sono finalmente riuscito a completare il mio home studio (sempre per rimanere in linea con gli altri ragazzi…) in un anno che mi ha visto coinvolto in tantissime registrazioni per vari artisti in tutto il mondo. La mole di lavoro continua ad aumentare, sia in quantità che in qualità, e trovo sia un ottimo modo per affrontare nuove sfide e tenersi sempre in allenamento. Stiamo a vedere cosa succederà nei prossimi mesi, ma la mancanza di concerti e semplicemente dello con la band sta cominciando a farsi sentire.

Come anticipato, dopo la parte dedicata alla musica la chiacchierata si è trasferita in garage, dove Fabio, Davide e due Chevrolet Corvette si sono ritrovati per conoscersi meglio…

(Davide) So che condividi il mio amore per le auto americane e che tu stesso ne possiedi una: ti va riparlarne?

Certamente! La mia passione per le auto è iniziata già da bambino. Mio padre, mio nonno, mio zio e mio fratello sono meccanici da decenni, quindi sono cresciuto in officina, in mezzo alle auto. Ricordo che chiedevo sempre a mio padre di disegnarmi la Lancia Delta Integrale, l’edizione prima della Evo, col mitico 2.0 16v Turbo (la più bella per me!), auto che ha avuto per tanto tempo… E ci sono tante foto di me e mio fratello dentro la Ferrari Dino GT4 di mio nonno quando eravamo piccoli! Molti di noi, poi, sono cresciuti guardando Knight Rider e The Dukes of Hazzard, ed ero affascinato dalle linee di quelle auto, così grandi e potenti. Poi sono arrivati il Metal e la batteria, e per parecchio ho dedicato tutte le mie energie e il mio tempo alla realizzazione di quel sogno. Come dicevo prima, però, vedere Jeff arrivare con la sua Camaro ha riacceso la passione che avevo da bambino; così, nel 2017, a 23 anni, ho acquistato una Corvette del 1975, la prima auto pagata con i miei risparmi (prima giravo con quello che capitava in officina o qualsiasi auto in cui potessi trasportare una batteria!). Quando acquisti quel tipo di auto sai che dovrai dedicarle tanto tempo, in una sorta di cantiere infinito dove cerchi sempre di migliorarla. Sia chiaro, parlo solo di renderla più facile da guidare e più sicura: Mike Shinoda ha fatto un lavoro impeccabile e non mi permetterei mai di rovinare la sua opera d’arte! Da lì in poi, però, la passione si sta lentamente trasformando in ossessione, e sono sempre alla ricerca di auto da acquistare, sistemare e aggiungere alla collezione. Al momento possiedo la Corvette (la mia preferita, ovviamente) e due Fiat Coupé (di cui un 5 cilindri 20v Turbo), ma conto di aggiungere un’altra auto americana nei prossimi anni.

(Davide) Quali sono le differenze fra guidare un’auto del genere in Italia rispetto agli USA, o al Canada? E quali sono le domande più «fastidiose» che ti hanno fatto a proposito della tua Corvette?

Purtroppo non ho mai provato un’auto d’epoca americana negli USA! E mi rifiuto (se hai una Corvette, sai cosa intendo) di provare le Mustang che le agenzie di noleggio auto propongono. E non conosco nessuno che mi possa portare in giro… Ma avendo guidato spesso in America, penso a come si sia sentito il primo acquirente della mia Corvette a sfrecciare nel 1975, appena uscito dal concessionario, sulle highways vicino Fresno, in California: niente a che vedere con le stradine di campagna vicino a Ravenna! Le balestre soffrono parecchio ogni buca, quindi si è costantemente alla ricerca di una strada appena asfaltata, o quantomeno liscia, condizioni che solitamente non durano per più di un chilometro.

Per quanto riguarda le domande «fastidiose», avendo anche tu una bellissima Corvette (è il motivo per cui ci conosciamo) non puoi mai sapere dove arriverà l’immaginazione della gente. Dalle più gettonate «Ma quanto beve?» o «Che cilindrata è?» alle meno ovvie «È una Ferrari?», «Guarda quella bella Lamborghini!», «Mai vista prima una… – si avvicina per leggere il nome – …Corvetta?». Di solito mi riempie il cuore quando la gente apprezza il fatto che nei primi anni ‘70 (e non solo) in America costruissero auto così belle e senza tempo; dall’altro lato, detesto quando aprono e chiudono sbattendo gli sportelli o bussano sulla carrozzeria per capire di che materiale sia fatta: cosa sei, al supermercato, che bussi sui cocomeri per capire se siano maturi o meno? Ma se non ci fosse un pizzico di gelosia, non sarebbe amore vero!

(Davide) La Corvette sembra essere l’auto preferita dai batteristi, anche se a volte pare che cerchi di ucciderli. Tu stesso mi hai raccontato aneddoti interessanti, che ne dici di condividerli?

La Corvette sembra sia intrinsecamente collegata ai batteristi. Il desiderio reale di acquistare una C3 è nato guardando diversi anni fa un video di Tommy Lee (insieme a Tommy Aldridge, John Bonham e Ian Paice tra i miei batteristi preferiti) che usciva a comprare le scarpe per il suo matrimonio a bordo di un modello Silver dell’82. Da lì è iniziata la ricerca quasi quotidiana del modello perfetto per me. Oltre a Tommy, Neil Peart possedeva quella che considero la Corvette più bella di sempre, la Split-Window del ‘63. Purtroppo, la Corvette è anche legata a episodi negativi: ad esempio, nel tristemente famoso incidente in cui Rick Allen perse un braccio, lui e la sua ragazza erano a bordo di una C4 appena acquistata dal batterista.

(Davide) A bordo di auto come la tua si ascolta più che altro il motore che lo si voglia oppure no, ma viene naturale pensare alle cassette da caricare nell’autoradio: quelle che più le si addicono, quelle con cui si ricorda qualcosa, quelle con cui si diventa pericolosi. Quale “colonna sonora” daresti alla tua Corvette?

Il sound del motore è la vera colonna sonora! Succede però che ogni tanto mi ricordi di avere delle cassette dietro i sedili. E devo dire la verità: sono in assoluto il mio formato musicale preferito! Adoro la compattezza, il booklet all’interno, riavvolgere il nastro e il sound che esce da una radio di 46 anni fa. Negli anni ne ho collezionate diverse, ma molto dipende dal viaggio, dall’orario del giorno, o dalla giornata in sé. Uno dei viaggi più belli e introspettivi che ricordo è stato sicuramente un rientro dal mare di qualche tempo fa: di sera, t-top dietro i sedili e Zuma di Neil Young… Sono quei piccoli momenti che ti fanno apprezzare la semplicità e ti fanno sentire vivo, esperienze che normalmente non potresti provare a bordo di una Multipla N.P., con il manico di scopa nel baule per tenere su il cofano… No pun intended!

Grazie per la disponibilità, Fabio.

Grazie a voi di MetalGarage e grazie a tutti quelli che leggeranno questa intervista! Spero solamente di strapparvi uno o due sorrisi tra una riga e l’altra. Un abbraccio a tutti!

(Davide) Alessandrini la fa molto semplice, per non dire ingenua, rispondendo a come si fa a entrare in una band internazionale a 23 anni e mettere il proprio nome accanto a quello di Jeff Waters. Non mi sorprenderebbe sapere che in diversi lo vedono con invidia, come un paraculato o semplicemente come uno con molta fortuna. Ma io ho un motivo in particolare per pensare che ha qualcosa che va al di là di un grande talento.

Fu un qualsiasi giorno di maggio del 2018, quello in cui un certo Fabio mi contattò su Facebook in cerca di un aiuto burocratico per immatricolare una Corvette del ’75. Lì per lì non ci feci molto caso, dato che si presentò come «un appassionato di Corvette ed Heavy Metal» e avevo già deciso di aiutarlo alla parola «Corvette». Fu la curiosità a spingermi sul suo profilo dopo qualche ora facendomi scoprire – con una certa sorpresa – chi fosse questo “appassionato”: romagnolo, classe ’93 e nientepopodimeno che il batterista degli Annihilator! Per farla breve, con qualche pagina scansionata risolvemmo un qui pro quo in motorizzazione, la macchina fu immatricolata e vissero tutti felici e contenti.

È noto che se non si sa dove trovare un possessore di Corvette si può sempre cercarlo in motorizzazione, eppure in questa vicenda mi interrogai non solo su quanto il mondo sia piccolo, sui casi della vita, su quanto fa con un litro (tanto lo so) e banalità varie, ma soprattutto sul fatto che un ragazzo di 24 anni (all’epoca) che suona in una delle band più note al mondo si fosse presentato al sottoscritto come un signor nessuno, in punta di piedi, quando ricordo di essere stato trattato con sufficienza da persone con molti più inverni e risultati molto meno eclatanti alle spalle.

Non che io abbia mai preteso granché dagli artisti, ci mancherebbe. Ma non mi sorprende che una persona come Fabio sia finita a suonare negli Annihilator a 23 anni.