Il libro
- Autore:
- Fabrizio Giosuè
- Editore:Arcana Edizioni
- Anno:2015
- ISBN:978-8862318
Dopo tre anni dal suo esordio nella saggistica musicale con Folk Metal: dalle origini al Ragnarök, “Mister Folk” Fabrizio Giosuè torna in libreria con questo volume edito per Arcana Edizioni, e lo fa con un obbiettivo anche più ambizioso: riunire tutte le band che si sono occupate, a vario titolo, del lavoro di J. R. R. Tolkien.
Il libro si apre con un’interessante introduzione “al contrario”: Prima di parlare della musica ispirata a Tolkien, nel breve capitolo La musica nelle opere di Tolkien Fabrizio analizza lo stretto rapporto tra le opere di Tolkien e la musica, spesso presente all’interno delle sue opere come una forza portante e penetrante. Citando miti e filastrocche presenti nei romanzi Fabrizio apre la strada ai capitoli successivi, creando un efficace substrato di informazioni che viene in soccorso anche a chi non ha ben presente i libri di Tolkien, o si è limitato a conoscerli tramite i film.
Si entra nel vivo musicale col secondo capitolo, La terra di mezzo nella storia del Rock. Fabrizio alterna di volta in volta la presentazione di brani musicali con i loro testi e una spiegazione della fonte da cui attingono all’interno dell’epica tolkeniana. Partendo con una dettagliata analisi di quanto fatto dai Led Zeppelin nei primi anni settanta, prosegue con altri mostri sacri come Black Sabbath e Cream fino a toccare artisti come Rush, Magnum e Bob Catley per citarne alcuni: meno conosciuti, ma non per questo minori.
Strutturalmente analogo al precedente, il capitolo Tolkien e il Metal si occupa delle tante influenze che il Professore ha avuto e continua ad avere sulle produzioni metal, specialmente nel Black e nel Power: generi che interpretano il vasto materiale del Professore con fini e tematiche diversi e distanti tra loro. Dai Cruachan a Burzum passando per i Summoning, Fabrizio scrive di gruppi che hanno basato canzoni o anche intere discografie su Tolkien e che sono sempre riusciti a trarne qualcosa di distintivo. In questo capitolo è presente un’interessante intervista a Natron (Emyn Muil), mentre il capitolo successivo (La terra di mezzo dei Blind Guardian) è dedicato all’omonima band tedesca, le cui canzoni sono intrise di citazioni tolkeniane abilmente sviscerate dal nostro.
Col penultimo capitolo (Non solo rock: la scena italiana) si chiude l’argomento Rock e Metal e si apre quello dedicato esclusivamente ad artisti nostrani che, ispirandosi agli scritti del Professore, si sono distinti in vari generi musicali che vanno dal folk acustico dei Lingalad alle atmosfere irish e celtiche di Giandil e Myraddin tra i tanti, fino alle sonorità elettriche degli Ainur e di altri artisti tra i più significativi rappresentanti della “corrente tolkeniana”.
Da segnalare, in questo capitolo, le interviste a Giuseppe Festa (anima dei Lingalad) e Marco Lo Muscio.
A questo punto, dopo un capitoletto conclusivo, largo a due corpose appendici: dapprima Il metal tolkeniano che consiste in un elenco, curato ai limiti del superfluo, di tantissimi gruppi metal che hanno tratto ispirazione da Tolkien per il proprio nome. Si va dai famosissimi Amon Amarth a gruppi minori con un demo all’attivo o addirittura con pubblicazioni con tirature da 25 (venticinque) cassette. Per ogni gruppo Fabrizio descrive con dovizia di particolari l’origine del nome, completa di citazione, da cui appare subito chiara una certa divisione tra i gruppi estremi (che spesso scelgono personaggi e luoghi legati al male) e quelli di estrazione più orientata al Power/Heavy, solitamente più legati agli elfi o alla razza umana.
La seconda appendice, Saruman goes Metal, tratta del famoso Cristopher Lee (Saruman delle trilogia di Peter Jackson) e dei suoi album metal, ma anche di molti altri attori che hanno preso parte alla famosa serie cinematografica e che portano avanti un’inaspettata attività nel mondo della musica (chi ha detto DJ Frodo?).
In conclusione il lavoro di Fabrizio si può dividere in due parti: quella musicale e quella tolkeniana.
Come critico musicale cita e affianca, di volta in volta, testi, sonorità e vicissitudini con assoluta cognizione di causa, dimostrando un’enorme e variegata cultura musicale che lo rende capace di saltare dal black metal estremo alla musica acustica e alle composizioni d’organo, mantenendo sempre un discorso coerente e un’invidiabile competenza.
Come conoscitore di Tolkien non è certo da meno, e si dimostra in grado di sviscerare l’opera del Professore fin nei minimi dettagli e citarlo sempre a proposito.
Quanto allo stile di scrittura, da buon saggista Fabrizio cita spesso nomi, titoli e date, ma non compie l’errore di cadere nel puro nozionismo accademico che sarebbe stato fuori luogo e tedioso da leggere in un saggio di questo tipo.
Tanta cura e lavoro certosino di ricerca, però, è anche il motivo per la mia unica critica “seria” a questo lavoro. Nel capitolo dedicato alla musica italiana, infatti, gruppi come Hobbit, Compagnia dell’Anello, Terre di Mezzo ed Eldar sono liquidati in appena tre righe, mentre altri non sono nemmeno citati. Tutti gruppi, questi, piuttosto “scomodi” perché legati all’ambiente politico di destra (che fin dagli anni ’70 prende ispirazione da Tolkien).
L’ideale che c’è dietro può piacere o meno, ma a è un fatto che suddetti gruppi siano stati i pionieri italiani per quanto riguarda la tematica tolkeniana, e la cura di tutto il resto del volume rende palese come evitarli sia stata una precisa scelta editoriale.
Questa scelta non mi trova d’accordo: Per quanto una certa reticenza sia assolutamente comprensibile, un saggio musicale deve trattare di musica in tutti i suoi aspetti e lasciare le opinioni di chi scrive e di chi legge fuori dalle sue pagine, per questo avrei preferito un po’ più di coraggio per superare certi tabù che sembrano un retaggio degli anni di piombo. Omettere una parte di ciò che si studia perché legata alla politica è, appunto, fare politica.
Ma al di là di questa scelta per me discutibile, Tolkien Rocks è un libro curatissimo e unico nel suo genere, di cui due categorie di persone difficilmente potranno giustificarne la mancanza nelle proprie librerie: gli appassionati di Metal e i lettori di Tolkien. Un ottimo lavoro, Mister Folk!