Humulus: la quiete e la tempesta

Humulus: la quiete e la tempesta

Nell’ormai lontano 1992 i negozi di dischi più attenti alle novità misero a disposizione dei loro clienti uno dei pochi album in grado di lasciare realmente un segno indelebile nella storia della musica. Si trattava di Blues For The Red Sun, terzo album di una sconosciuta formazione californiana chiamata Kyuss e atto di nascita ufficiale del genere che verrà poi chiamato Stoner Rock. In 25 anni lo stoner ha dimostrato di potersi evolvere anche al di fuori delle canoniche coordinate stilistiche e sonore – muovendosi sia in direzione delle primordiali strutture a suo tempo create dai Black Sabbath, sia verso dinamiche maggiormente orientate alla psichedelia – superando nel contempo anche eventuali limiti geografici, visto che praticamente in ogni parte del mondo sono nate band di grande valore. E, una volta tanto, anche l’Italia non se la cava male, grazie a una scena composta da etichette piccole ma agguerrite e da gruppi dalle grandi potenzialità, come ad esempio gli Humulus, trio lombardo nato nel 2009 e arrivato al terzo lavoro in studio (dopo l’omonimo esordio e l’EP Electric Walrus, rispettivamente datati 2012 e 2015), un album intitolato Reverently Heading Into Nowhere (o R.H.I.NO.), pubblicato lo scorso marzo e qui presentatoci da Andrea Van Cleef (voce, chitarra, synth) e Giorgio Bonacorsi (basso), che insieme a Massimiliano Boventi (batteria) compongono una delle formazioni più promettenti del panorama stoner continentale.

Se nel mini Electric Walrus era preponderante la componente space/psychedelic, in Reverently Heading Into Nowhere l’impostazione è maggiormente orientata verso coordinate stoner, arricchite però da elementi alquanto vari, che spaziano dal jazz al grunge, dal blues al rock, fin quasi a sfiorare il funky: cosa vi ha portati ad ampliare in così varie direzioni la vostra ricerca musicale?

Andrea van Cleef – Personalmente ti posso dire che da sempre sono un onnivoro musicale: negli anni del liceo mandavo a memoria tanto i dischi dei Genesis quanto quelli dei Ramones (per dire due estremi) e sono da sempre contro le barriere, tanto più che considero il rock un genere meticcio per eccellenza, anche se poi tutto riconduce a una serie di elementi riconoscibili. A livello di band, invece, sono stati importanti i tanti concerti suonati successivamente all’uscita del mini, che hanno creato un grande affiatamento permettendoci di trovare un’identità abbastanza forte anche quando, all’interno del disco o dello stesso brano, è venuto spontaneo spaziare fra diversi generi e approcci.

Una delle caratteristiche degli Humulus è infatti quella di saper magistralmente alternare, anche all’interno dello stesso pezzo, momenti di autentica esplosione sonora a passaggi enormemente dilatati, quasi liquidi, accostando ai canoni propri dello stoner le caratteristiche peculiari dello space rock più lisergico: in quale di queste due situazioni vi sentite più a vostro agio?

Andrea van Cleef – Direi che sono entrambe distintive del nostro stile e si integrano bene, almeno secondo noi: sono il nostro ying e il nostro yang. Siamo convinti che rumore e riflessione, se accostati, si migliorino l’un l’altro, e non riusciremmo a fare un disco in cui solo uno di questi aspetti fosse rappresentato.

Personalmente ho molto apprezzato la prima traccia del disco, Distant Deeps Or Skies, ma il brano che potremmo definire più «commerciale» è senz’altro Catskull: avete pensato alla realizzazione un eventuale singolo, magari da proporre come videoclip?

Andrea van Cleef – In un certo senso Catskull è diverso dagli altri brani del disco, che sono nati da improvvisazioni in sala prove partendo da un riff di base per poi proseguire senza limiti, stando a vedere cosa sarebbe successo, suonando in totale libertà per poi condensare e riorganizzare le idee. Con quel brano c’è stata invece l’intenzione, l’idea di realizzare un «singolo», quindi mi sono messo davanti al mio Mac e ho scritto una canzone – forse l’unica «canzone» del disco – che poi è stata arrangiata insieme ai miei due compagni. Avevamo anche ipotizzato di girare un video per accompagnarla, ma ci siamo resi conto di essere piuttosto insofferenti alle dinamiche promozionali che caratterizzano l’uscita di un disco; non avendo nessuna idea «forte» per un video musicale abbiamo quindi preferito non girarlo, essendo l’unica finalità quella «pubblicitaria»: sarebbe stata una forzatura dell’identità di un progetto che vive di passioni molto sincere e libere da logiche commerciali. Questo non toglie che in futuro, riuscendo a trovare un’idea in linea con l’identità degli Humulus, si possa girare davvero un video per Catskull.

Un elefante, un tricheco e un rinoceronte sono i soggetti delle copertine dei vostri tre prodotti discografici: a cosa è dovuta questa «zoofilia artistica»? E come mai nell’ultimo album è scomparsa l’onnipresente pinta di birra?

Giorgio Bonacorsi – Potrei inventare storie e aneddoti assurdi e intriganti per questa scelta, ma la verità è che il nostro grafico di fiducia – Lorenzo Pupi della Yeah Skateboards di Bergamo – ci ha conquistati subito con l’elefante; da qui abbiamo deciso di proseguire con la linea degli animali «obesi». Inoltre, almeno secondo me, lo stoner/doom e questo tipo di animali rappresentano un ottimo connubio: musica lenta, riff pachidermici, sonorità pesanti… E tornando all’ultimo album: ebbene sì, la consueta pinta di birra è scomparsa. Forse sarà caduta dal tavolino che si vede in primo piano! Seriamente, come per le altre copertine non c’è nessun motivo particolare: in questo giro Lorenzo ha deciso così!

Restando in ambito, in botanica il nome scientifico «Humulus lupulus» indica la pianta del luppolo, appartenente alla stessa famiglia della Cannabis (lo sapevate, cari lettori?, ndr) nonché elemento base della birra: volete raccontare qualcosa riguardo al prestigioso endorsement da parte del Birrificio Indipendente Elav di Comun Nuovo (BG)?

Giorgio Bonacorsi – Io e Antonio (proprietario e mastro birraio di Elav) siamo amici da anni. Insieme a mio fratello e altri amici facevo un po’ di birra in garage e, tra le tante birrette nate, ce n’era una che piaceva particolarmente, una black ipa. Da lì è nata l’idea di fare realizzare una nostra ricetta in un birrificio vero e proprio: e dove se non all’Elav? Riassumendo, la birra è piaciuta parecchio a entrambe le parti ed è stata messa in produzione da Antonio dopo averla «regolata» in base al suo impianto: era nata la Humulus Black Ipa «Stoner». E dopo poco tempo si è presa la decisione di provare a «cuocere» un’altra birra targata Humulus, questa volta con un solo malto e un solo luppolo, e meno aggressiva rispetto alla black, scelta che ha portato alla nascita della Humulus Golden Ipa battezzata «King of the Stone Ale».

L’album è uscito lo scorso 24 marzo ed è stato presentato il successivo 14 aprile al Lio Bar di Brescia: cosa avete programmato per questa stagione estiva ormai inoltrata?

Andrea van Cleef – In programma c’era un tour in terra germanica, che è stato però rimandato a fine anno, così come quello in Spagna, che è slittato al 2018. In Italia, luogo non proprio ideale per chi suona il nostro genere, ci sono state e ci saranno comunque un bel po’ di date sparse, come ad esempio l’Elav Stoner Festival che si è tenuto il 7 e l’8 luglio scorsi e che, oltre a noi, ha visto la presenza di pesi massimi della scena stoner internazionale come Karma To Burn, My Sleeping Karma, Monkey 3 e Toner Low. Personalmente, poi, non vedo l’ora di suonare il prossimo 19 Agosto alla Cascina Bellaria di Alessandria, un centro dove le pratiche meditative e lo yoga sono abbinati a concerti doom e stoner: per come la vedo, questa è la concretizzazione dell’idea di ying e yang musicale di cui ti parlavo prima!

L’intervista che avete appena letto avrebbe dovuto essere pubblicata lo scorso mese, ma per una serie di motivi ha visto la luce solo ora. Ecco perché – oltre a qualche incongruenza temporale – ad esempio non si è parlato di una data successivamente confermata, ovvero quella di sabato 2 settembre, che vedrà gli Humulus suonare nella seconda serata dell’edizione 2017 del Burn the Witch!, il festival dedicato allo stoner che dal 2012 viene organizzato dal Moskito R’n’R Bar di Iseo (BS), ennesima testimonianza della vitalità di un movimento che – come dicevo – è ben rappresentato anche nel nostro Paese e che vede gli Humulus come una delle realtà in grado di imporsi anche all’estero, a dimostrazione che la musica italiana non si riduce solo all’anacronistico circo sanremese, all’imbarazzante programmazione delle radio, alla spocchiosa incompetenza della critica o all’ipocrita inconsistenza di una «scena indie» i cui autoproclamati guru hanno contratti con le più grandi major, ma può essere anche solida, pesante, pachidermica, senza per questo opprimere o soffocare, risultando anzi gradevole, ben strutturata, piena di sfumature ed estremamente appagante.

Proprio come una buona birra.