Kampfar’s Blackest Cult

Kampfar’s Blackest Cult

Vent’anni di carriera sono tanti, ma in questo lungo lasso di tempo i Kampfar hanno sempre continuato a percorrere la strada intrapresa negli anni Novanta: quella di un black metal freddo e genuino, profondamente influenzato dall’atmosfera e dalla cultura della loro fredda terra natia.
È stato un vero piacere poter intervistare Dolk, voce e frontman della band, dopo l’esibizione dei Kampfar durante la seconda giornata del Fosch Fest di Bagnatica (BG). Insieme a quest’uomo altissimo, dai tratti nordici e dai modi gentili, abbiamo potuto scambiare quattro chiacchiere per parlare di come la band da lui fondata sia riuscita a guadagnarsi un posto d’onore negli annali della storia del black metal.

Negli ultimi 20 anni, il black metal ha visto svariati cambiamenti. I Kampfar però sono riusciti a mantenere il proprio sound lontano , ma anche dai vecchi cliché. È stato difficile per voi preservare la vostra identità musicale?

In realtà, quando nel 1994 abbiamo fondato i Kampfar, non avevano alcuna idea su cosa i Kampfar avrebbero dovuto essere. E all’epoca era tutto molto diverso, c’erano molte più regole. Specialmente da noi in Norvegia: se volevi fare black metal dovevano piacerti determinate cose, dovevi utilizzare un certo tipo di corpsepaint e fare quanto era considerato “true”. Dopo tanti anni ci siamo lasciati alle spalle tutta questa roba. A noi interessa soltanto suonare la musica dei Kampfar.
Certo, trovare la nostra identità musicale non è stato semplice, ma ho sempre avuto le idee abbastanza chiare su ciò che volevo che fossero i Kampfar. Così, quando la vecchia formazione andò in pezzi, ne approfittai per trasformare i Kampfar in ciò che nella mia testa avrebbero dovuto essere da almeno 2 anni.

Cosa ne pensi del modo in cui in questi 20 anni sono cambiate le band della scena musicale norvegese?

Si potrebbe dire che, almeno negli ultimi anni novanta o nei primi anni del nuovo millenio, molte band abbiamo iniziato a percorrere nuove vie, rispetto al black metal che erano solite suonare. Molte hanno semplicemente provato a sperimentare, per poi ritornare al black metal delle proprie origini. Ma spesso questo tipo di scelta è nato dalla volontà di acquisire una maggiore fama, di diventare “più grandi”. Personalmente dire che questi gruppi abbiano fatto una scelta sbagliata, come testimonia il fatto che abbiano poi sentito il bisogno di riportare la loro musica a ciò che era in origine. Ma si tratta di un parere personale.

Fin dagli inizi della vostra carriera, voi Kampfar vi siete distinti per l’elevatà qualità sonora dei lavori in studio. Contrariamente a molte band black metal norvegesi, che hanno prodotto album dal sound sporco e poco curato. Pensi che le nuove band, in studio, dovrebbero concentrarsi sulla ricerca di un sound curato e raffinato, e cercare d’imitare le sonorità sporche della maggior parte degli album anni Novanta?

In realtà, fin dagli inizi, noi abbiamo cercato di fare qualcosa di diverso rispetto al solito black metal. In studio abbiamo lavorato anche con persone che col metal non avevano mai avuto a che fare. In questo modo abbiamo potuto sviluppare il nostro personale sound. Sicuramente dal nostro punto di vista non c’è mai stata la voglia di copiare qualcosa.
È indubbio che molte band d’oggi stiano tentanto operazioni come copiare le particolari sonorità che i Mayhem avevano nel 1994. Non saprei dire se sia una scelta sbagliata o meno, perché anche la scelta di questo tipo di sonorità fa parte dello spirito black metal.

I Kampfar sono considerati una band cult, da molti dei fan del black metal. Come vivete questo “status”?

Personalmente la trovo una cosa abbastanza strana. Su un’importante rivista svedese, ho recentemente trovato una classifica dei più importanti album degli anni Novanta, realizzata secondo il voto dei lettori. E il nostro Mellom Skogkledde Aaser era al settimo posto della classifica. Fa un certo effetto, perché in quegli anni nessuno di noi avrebbe mai pensato che un giorno la nostra musica avrebbe potuto raggiungere una fama simile. Sicuramente è una cosa che ci fa piacere, ma allo stesso tempo fa anche uno strano effetto.

I vostri ultimi due album, Mare e Djevelmakt, presentano un diverso livello di “oscurità”. Il primo mi pare richiami in parte lo stile dei Bathory, mentre il secondo mi è sembrato più diretto e selvaggio. Secondo te, quali sono le principali differenze tra i due album?

Sicuramente Djevelmakt è un’album più diretto. Quella iniziata con Mare vuole essere una trilogia di album. Lavorando su Mare abbiamo attinto molto dal folklore e dalla storia norvegesi, per arrivare con Djevelmakt a parlare della società contemporanea in senso più generale. Penso che oggi la società sia molto più demoniaca (usa il termine “devilish”, n.d.a.), come puoi vedere qualunque giorno accendendo la televisione. Certo, io parlando di “potere del diavolo” (“devil power”, n.d.a.) non intendo necessariamente ciò che potrebbero voler dire queste parole per la chiesa o i mass media.

Nel corso della vostra carriera sono cambiate anche le basi ideologiche della vostra musica. Quali pensate sian state le principali fasi di questa vostra evoluzione?

Non saprei dirlo con certezza. Ma oggi penso che il mondo stia andando in una direzione completamente sbagliata. Come ci insegna la storia, le religioni hanno sempre cercato qualcosa contro cui scagliarsi. E secondo la religione sarebbero sempre i pagani o i satanisti a minacciarla, ma dal mio punto di vista credo sia l’esatto opposto. Penso che il messaggio chiave del black metal sia che ognuno debba percorrere la propria personale strada.

Perché la scelta di scrivere testi in parte in inglese e in parte in norvegese?

Abbiamo scritto la prima nostra canzone in inglese nel 1998, perché volevamo rendere i nostri testi comprensibili ad un maggior numero di ascoltatori. Ma adesso, quando lavoriamo su di un album, non partiamo mai da idee preconcette. Semplicemente scriviamo le canzoni, e decidiamo a quale lingua si adattano meglio. Ma per me è ancora importante continuare ad usare il norvegese, perché quella è comunque la nostra lingua-madre.

Diversamente dalla realtà degli anni Novanta, oggigiorno il black metal non è più un fenomeno esclusivamente europeo. Esistono realtà black metal in tutta l’America, in Giappone, nell’Est Europa e perfino in Africa. Che ne pensi di questo diffondersi del genere, dal momento che la Norvegia ha avuto un ruolo fondamentale nella sua storia?

Non potrei dirlo con certezza, ma credo faccia tutto parte di una continua evoluzione del genere. Come ho già, all’epoca c’erano un sacco di regole che le band dovevano rispettare per essere considerate all’interno del genere. Ma oggi la situazione è profondamente cambiata, in un modo che all’epoca nessuno avrebbe potuto immaginare. Nessuno avrebbe mai pensato che il black metal sarebbe un giorno arrivato ad ottenere così tanta notorietà, portando soldi e fama alle band.

Quali progetti hanno i Kampfar, per i loro lavori futuri?

Abbiamo un sacco di materiale, di cui non posso ancora parlarti. Ma posso dirti che abbiamo già tra le mani del materiale molto interessante.