L’abitudine di nascondere la propria incompetenza paragonare il sound di un gruppo a quello dei più famosi rappresentanti di un genere è una pratica vecchia come le recensioni: Un po’ tutti i gruppi Heavy suonano come i Maiden, così come, se un gruppo suona Symphonic Black, sicuramente ha copiato i Dimmu. Ma quando si parla di Industrial/NDH, il fenomeno raggiunge vette imbarazzanti.
Sembrano i Rammstein.
Metallaro medio su qualsiasi band tedesca
Premetto: non nego che l’ispirazione o la citazione siano una cosa più che normale in un processo creativo e che, inevitabilmente, i “grandi” influenzino i “piccoli”. Ma c’è una bella differenza tra questo e ridurre ogni singolo gruppo che ha la sfiga di usare suoni elettronici e ritmi marziali – o quella, ancora peggiore, di avere testi in tedesco – sempre solo ai Rammstein. Anche perché sì, i Rammstein sono tra i pochi gruppi “Industrial” capaci di riempire stadi al di fuori della Germania (col più che decennale contributo del sottoscritto), ma non sono gli unici- né i capostipiti – del loro genere.
Se scomodare i Rammstein è più che giustificabile in alcuni casi in cui la citazione è davvero evidente, per esempio con gli Heldsmachine degli esordi (che nascono come ottima tribute band, tanto che René Anlauff per voce e aspetto sembra figlio di Till), non lo è quasi mai per tanti altri gruppi dello stesso filone NDH che, oltre a rientrare nei canoni del genere, non fanno nulla per assomigliare alla famosa band ex-DDR. Davvero i Megaherz o gli Stahlmann meritano di portare questa croce? Per non parlare del martirio degli OOMPH!, “eterni secondi” dell’NDH benché pionieri di queste sonorità.
Peggio ancora è vedere l’etichetta “Rammstein” appioppata a gruppi che nulla c’entrano con l’NDH. Vittime illustri di un dimenticabile blogger gli svizzeri Samael, così come i nostrani A Tear Beyond di cui un altro recensore, su un sito ben più noto, ha descritto gli «effetti industrial in stile Deathstars / Rammstein» che, secondo la mia modesta opinione, ha sentito solo lui (anche perché parcheggiare Deathstars e Rammstein nello stesso spazio è come dire che un C10 è simile a un El Camino perché entrambi sono pick up della Chevrolet).
Evidentemente c’è un problema di fondo: l’incapacità di distinguere la differenza tra stilema e archetipo non solo all’interno di uno stesso sottogenere, ma anche di generi diversi benché affini. E, per qualche motivo, un’incompetenza che verrebbe presa a pesci in faccia in qualsiasi altro ambito – in Italia e non solo – in questo caso viene accettata o nemmeno riconosciuta. Si pensi a quanto impiegherebbe a prendere del «poser» un recensore che paragonasse un qualsiasi gruppo Thrash agli Slayer, e si facciano due conti.
Troppi recensori improvvisati e ascoltatori pseudo-esperti si lanciano in paragoni che nascono dal fatto di aver ascoltato solo i Rammstein, in una nazione in cui la conoscenza dell’Industrial e dell’NDH è più o meno pari a quella della guerra civile americana e in un’epoca in cui quel che conta è buttar fuori articoli anche scarsi, purché siano tanti e fatti in fretta. Si dovrebbe invece trattare con un minimo di cognizione di causa l’Industrial Metal, che tra parentesi è stato uno dei primi a farsi strada dopo il disastro del Grunge e meriterebbe rispetto anche solo per questo. Lo chiedono i Godflesh e Rob Zombie. E pure i Rammstein.