Chevrolet Corvette 1968

Chevrolet Corvette 1968

Non si poteva che inaugurare questa rubrica con l’auto che l’ha ispirata: nera e piena di curve, un cofano infinito, due posti secchi e nessun bagagliaio.

Per le sue forme la chiamano in tanti modi: Stingray, Shark, Bottle Coke… ma il mio preferito è uno dei più rari a sentirsi, e anche quello che credo le si addica di più: Sleeping Woman. Se vi state chiedendo cosa c’entri una donna addormentata, è perché non l’avete mai vista da dietro il volante…

Nella prova del maggio ’68, la celebre rivista Cars and Drivers la definì “the automobile world’s Barbarella”. Azzeccatissimo, pensando alla Jane Fonda di quegli anni

Chiaramente ispirata alla famosa concept “Mako Shark” (disegno di Larry Shinoda sotto la direzione di Bill Mitchell), nel 1968 Chevrolet presenta la terza generazione della Corvette (detta per l’appunto C3) dopo un curioso incidente di marketing: General Motor fece del suo meglio per tenere segrete le linee di quella che sarebbe diventata per tutti “la Stingray”, ma fu anticipata di qualche settimana dall’uscita di una nuova linea di giocattoli: le Hot Wheels della Mattel che, tra le tante automobiline in scala 1/64 di quella prima serie, includeva anche una “Custom Corvette” con le sembianze dell’auto in uscita.

Ciò in cui più la C3 si differenziava dalla precedente Corvette erano la linea e l’abitacolo completamente ridisegnati, oltre ad alcune innovazioni come il tetto T-Top per la Coupé, i tergicristalli nascosti sotto un frangivento ad apertura automatica e altri particolari che facevano tanto “stiamo per andare sulla Luna” (Astro Ventilation su tutti). Come tutte le prime serie, però, alcuni particolari furono oggetto di critiche e furono rivisti a partire dal ’69: parliamo di cose come l’apertura a pulsante o i pannelli interni delle portiere troppo spessi per “l’abbondanza americana”, tutti particolari unici di quest’annata.

Il motore base della Corvette 1968 era l’L75: Small block 5340cc da 300Cv lordi, ma americani. Lo vediamo qui, con un po’ di dress up (l’originale è arancione).

Meccanicamente parlando la C3 presentava ben poche differenze con la generazione precedente, giusto qualche miglioria per eliminare il sovrasterzo e quattro freni a disco di serie; del resto, il telaio della Corvette era già all’avanguardia per gli anni ’60: sospensioni indipendenti, freni a disco, differenziale a slittamento limitato, un’ottima distribuzione dei pesi (47/53). Fu proposta in ben cinque motorizzazioni: Due basate sul famoso Small Block “327ci” (5400cc), da 300 o 350 cavalli, e tre col potente Big Block 427ci (7200 cc) da 390, 435 o, nella versione “vivamente sconsigliata”, 560 cavalli (non è un errore: il motore era il leggendario L88, ma è tutta un’altra storia).

Nata sul finire degli anni ’60, ultimi anni di un’epoca d’oro fatta di sogni spaziali e timori nucleari, di lì a poco anche The Sleeping Woman dovette piegarsi a crisi petrolifere, benzine verdi e catalitici, cambiando fino a diventare una Gran Turismo appena briosa e chiudendo in un cassetto la vera Sportiva che era nata per essere. Anche questa è un’altra storia, ma ci porta alla musica giusta.

La guidiamo con...

Per l’occasione mi sento obbligato a citare un bel pezzone cupo e basso come il rauco V8 Chevrolet, e direi che l’annata aiuta: nel ’68 si era nel pieno del programma Apollo, ma muovevano anche i primi passi gente come Alice Cooper e Black Sabbath, per citarne un paio di quelli belli grossi. Andrei verso i secondi, anche se preferirei riservare per il futuro i pezzi più famosi cantati da Ozzy. Meglio spostarsi in avanti di un decennio perché, quando si schiaccia il piede abbastanza e l’alzarsi dei giri sveglia i corpi secondari del carburatore succede che, di colpo, il basso e scontroso borbottare diventa il ruggito di un leone. Proprio come il basso di Geezer Butler anticipa la chitarra di Tony Iommi e la voce di Ronnie James Dio in apertura di questa canzone.

La Corvette del 1968 è nera, arrabbiata e disprezza chi è venuto dopo di lei: Lady Evil non è per tutti.


Le foto e l’auto di questo articolo sono di Elisa Tomaselli, che sentitamente ringraziamo.