Germ – Escape

Germ – Escape

Il disco

  • Etichetta:Prophecy Productions
  • Città:Wollongong, New South Wales (Australia)
  • Genere:Experimental Depressive Black Metal
  • Line Up:
    • Tim Yatras (tutto)
Germ – Escape

Il primo impatto coi Germ fa pensare alla classica one-man band di stampo black metal, con un singolo polistrumentista che scrive ed esegue tutte le parti del disco. Cominciando invece a recuperare informazioni su questo progetto, salta poi subito all’occhio un particolare: la provenienza del sopracitato mastermind.

Il nostro Tim non è infatti nato e cresciuto nelle gelide lande norvegesi, in qualche sperduta foresta dell’est europeo o nelle brume francesi: la sua terra natale è l’Australia. Avete letto bene: la terra del surf, degli occhiali da sole, del rock’n’roll sbarazzino da party animals che comunemente viene associato alle band provenienti dall’isola dei canguri.
Colpito da questo dettaglio mi immergo nell’ascolto, curioso di scoprire come suona questo “Experimental Depressive Black Metal” in salsa aussie.

Mentre inizia l’intro I, noto che l’artwork mi predispone positivamente: semplice e intimo, ma allo stesso tempo oscuro! Nessuna traccia degli indecifrabili loghi che ormai campeggiano su qualunque disco estremo come il più classico dei cliché. Al contrario, una elegante grafia delinea il nome del progetto, mentre il titolo dell’album, Escape, è scritto con un sobrio stampatello.

Ascoltata – e apprezzata assai – l’intro strumentale, passiamo ai primi due pezzi veri e propri (Escape, I will give myself to the wind), che sembrano piuttosto un’unica lunga suite: un susseguirsi di momenti atmosferici scanditi da arrangiamenti interessanti e da chitarre epiche e ossessive. Germ non ha paura di trascinare i suoi monolitici riff all’infinito, apportando soltanto poche variazioni che mantengono però sempre interessante l’avanzare della canzone.

Sporadicamente il suo scream disperato fa capolino, restando comunque sempre relegato in un ruolo comprimario rispetto al preponderante elemento costituito dalla massiccia parte strumentale. Con Under Crimson Skies il nostro inserisce alcune variazioni tematiche, con arpeggi e momenti introspettivi che potrebbero far pensare a certi Opeth, alternati al riffing monolitico già sperimentato nei primi pezzi.

Dopo l’interludio è la volta di The Old Dead Tree, dove torna prepotentemente la chitarra a farla da padrone: un lungo incedere malinconico e nostalgico, decisamente “post” come approccio, e molto gradito dal sottoscritto. With the dead of a blossoming flower presenta nuovamente alcuni riferimenti agli Opeth e qualche apertura nel cupo incedere chitarristico, ben presto nuovamente sommersa dai riff e questa volta anche da un drumming più evidente ed estremo.

La conclusiva Closer si apre con un arpeggio tanto bello quanto vagamente inquietante, che precede l’ingresso del solito riff massiccio che va a concludersi in un lento fade.

Un disco che nel complesso mi ha gradevolmente sorpreso: croce e delizia dell’album la struttura estremamente monolitica delle canzoni. Da una parte, un aspetto negativo che non fa rimanere in testa nessuna canzone, dall’altra un elemento preziosissimo che permette all’ascoltatore di perdersi nel fluire delle note, realizzando una sorta di unico concept atmosferico e dal forte impatto. Personalmente ho apprezzato la vena fortemente emotiva ed intimistica di tutti i brani, quasi come se il nostro Tim volesse mettere a nudo la propria anima.

Consigliatissimo per chi vuole immergersi in una bruma gelida e perdersi nelle sue nebbie misteriose, per affrettare la fine dell’estate calda e afosa!

Tracklist

  1. I - 1'04"
  2. Escape - 8'25"
  3. I'll Give Myself To The Wind - 6'11"
  4. Under Crimson Skies - 6'14"
  5. V - 1'45"
  6. The Old Dead Tree - 9'02"
  7. With The Death Of A Blossoming Flower - 8'07"
  8. Closer - 4'05"
  • Valutazione: 8 / 10