Il disco
- Etichetta:Nementon Records
- Città:Mantova
- Genere:Folk Punk Rock
- Line Up:
- Mirko Savi (voce, tin whistle)
- Stefano Gobbi (chitarra)
- Marco Premi (banjo, mandolino, voce)
- Gabriele "Benji" Benetti (chitarra)
- Carlo Neviani (basso e voce)
- Stefano "Bolo" Bolognini (batteria)
Sei, terza persona singolare del tempo presente del verbo essere. È questa semplice parola di tre lettere a dare il titolo al nuovo album dei mantovani Strawdaze, che con questo secondo lavoro riescono a dimostrare d’aver raggiunto una nuova maturità artistica rispetto al precedente Senza Rotta.
Il nuovo album ruota interamente intorno all’antitesi tra essere e apparire, dicotomia rappresentata anche dalla sorridente maschera che in copertina si specchia solo per vedere il proprio riflesso prendere corpo in una maschera di tristezza. L’artwork ad opera di Laura Lofaro crea un gioco di maschere che non lascia spazio a volti reali e autentici.
Il disegno raffigura un mondo falso e artificioso, di cui la band canta in tracce come In una vetrina o Immobili. Ed è proprio per sottrarsi a queste meccaniche perverse che il punk degli Strawdaze esplode a cantare il bisogno d’esprimere sé stessi, cercando “qualcosa di nuovo” come nella latineggante La rivolta del cammello (in cui l’insieme timbrico della band viene colorato dal sassofono di Davide Torreggiani) o nel lottare “per una nuova via d’uscita, meno comoda ma viva” di Scegli (e qui sbuca un altro ospite: il violino di Andrea Rinaldi). E perfino la componente goliardica e festaiola che aveva dominato Senza Rotta torna nei testi di Esplodi o di La tua ultima dose, per essere presentata come una possibile via di fuga nella ricerca di una piena libertà.
Non manca poi una certa critica all’attuale mondo dell’industria discografica, presente già in Tu chi sei, traccia d’apertura dell’album. Il pezzo si presenta come una critica verso quei personaggi finti che salgono sui palchi di tutto il mondo per abbindolare le masse proponendo un’immagine artificialmente costruita a tavolino (soggetti di cui sono pieni tanto il mondo dell’arte, quanto quello della politica). La critica degli Strawdaze al panorama musicale italiano si fa ancora più esplicita in Diritto di plagio, dove vengono attaccati direttamente il mondo della discografia (reo di chiedere sempre “la stessa minestra servita in un piatto diverso”), la stampa (che “non sa far altro che riferimenti”) e il dilagare “di copie e tributi”. Con questo testo, gli Strawdaze riescono a disegnare un quadro impietoso, ma tristemente realistico, dell’attuale panorama rock italiano.
E la loro musica? Riesce ad essere abbastanza autentica? Personalmente, mi sembra che la band riesca a centrare piuttosto bene questo obbiettivo. Sei si articola tra riff dal gusto pop-punk, e passaggi dal sapore più latino, puntando occasionalmente verso i ritmi ballabili dello ska strizzando l’occhio alle sonorità dell’hardcore alla Hüsker Dü. La batteria di Stefano Bolognini suona secca e diretta, creando per il resto del gruppo una solida base ritmica insieme al basso di Carlo Neviani, il quale risulta però esce soffocato da un missaggio che lo pone eccessivamente in seconda linea rispetto al resto dell’amalgama sonora. Il mandolino e il banjo di Marco Premi e il Tin Whistle di Mirko Savi riescono invece ad aggiungere un caratteristico sapore folk alle distorsioni punkeggianti delle chitarre di Stefano Gobbi e Gabriele Benetti. E proprio nell’uso degli strumenti folk sta, a mio personale parere, il merito principale della band. Le melodie di flauto o di banjo che compaiono nelle tracce di Sei non puntano mai a soddisfare un “facile” gusto per la melodia irish. Sembra piuttosto che la band abbia voluto esprimere liberamente la propria creatività, e questo consente all’album di staccarsi dalla massa omogenea e banale che costituisce la quasi totalità delle attuali produzioni folk-punk. E se le voci di Savi e Premi non lasciano pensare a chissà quale preparazione sulla tecnica vocale, è anche vero che suonano dirette e prive di fronzoli, com’è giusto che sia per un gruppo punk (anche se emergono un accento e una cadenza mantovani che possono effettivamente far sorridere).
Bisogna anche dire che il decantare l’importanza dell’essere veri e autentici non è una novità per una band punk. Ma la cosa non stupisce se si pensa che, come ha anche recentemente affermato Richie Ramone in una sua intervista per Rock Rebel Magazine, “punk vuol dire essere veri, essere sé stessi”. E non è neanche un caso che tutta la musicologia dedita allo studio dei repertori popular dia parecchia importanza al ruolo dell’autenticità negli stessi: dal saggio Studiare la Popular Music di Richard Middleton, a Michelle Phillipov col suo Death Metal and Music Criticism, passando per Musica di plastica di Hugh Barker e Yuval Taylor o da Liveness di Philip Auslander (giusto per citarne alcuni, ma l’elenco sarebbe ben più vasto).
Viene quindi da dire che gli Strawdaze, realizzando un album punk che parla dell’essere sull’apparire, abbiano realizzato un album punk che si focalizza su uno dei punti cardine della “filosofia punk”. Un album punk, che indirettamente parla del punk.
Tracklist
- Tu Chi Sei? - 3'47"
- Diritto di Plagio - 2'27"
- Immobili - 4'18"
- Scegli - 3'44"
- Cenere - 2'32"
- La Rivolta Del Cammello - 4'29"
- La Tua Ultima Dose - 3'05"
- In Classifica - 3'07"
- In Una Vetrina - 3'30"
- Esplodi - 2'51"
- Un Altro Autunno - 3'28"
- Valutazione: 7 / 10