Il disco
- Etichetta:Autoprodotto
- Città:Budapest
- Genere:Folk Metalcore
- Line Up:
- Balázs Hormai (voce)
- Martina Veronika Horváth (voce)
- János Krieser (chitarra)
- Attila Rab (basso)
- Milán Leindler (batteria)
- István Kristóf (kobza, ghironda, chitarra acustica, voce)
- Márton Szilágyi (kaval, flauto, voce)
- Dóra Gerényi (flauto, kaval)
- István Simon (gadulka, oud)
- Balázs Nagy (bouzuki)
C’è una solida idea di base sotto al suono dei Niburta, ma la realizzazione non le rende minimamente giustizia.
A occhio, il progetto pare essere una fusione di folk e metalcore tecnico tendente al djent. Ora, non ho mai nascosto la mia idea sul djent: è un genere dalla stilistica troppo precisa per non diventare ripetitivo sul lungo termine, ma presenta spunti interessanti se usato come base per sonorità diverse. Fonderlo con flauti e strumenti acustici è qualcosa con cui ho bazzicato anch’io, ma se sulla carta l’idea potrebbe svecchiare un genere sempre più ancorato a stereotipi e ritmiche dispari, nella pratica ci si scontra subito con un grosso problema: i due filoni sono completamente opposti.
Il djent vive di pulizia, registrazione impeccabile e a volte elettronica; il folk è grezzo, e spesso intenzionalmente sottoprodotto. Il djent vive di ritmiche improbabili, il folk è al suo meglio nella semplicità. Il djent è legato strettamente al prog, il folk arriva quasi al punk (vero Korpiklaani?). Qual è stato il lavoro compiuto dai Niburta per legare i due estremi, allora?
Per quanto possa dire io, non tanto quanto avrebbero dovuto. L’EP suona come un decente album djent su cui qualcuno abbia deciso di inserire un flauto, strumenti acustici e una voce femminile a lavoro quasi concluso. Le due parti, di cui quella folk ha una sorprendente abilità tecnica, non si parlano molto pur essendo entrambe scritte in maniera molto esperta. Manca un po’ di dialogo, non ci sono molti punti comuni, ed è leggermente troppo legato agli standard del sottogenere del prog: aspettatevi breakdown e accordi dissonanti a palate, e passaggi acustici con una interessante voce femminile a sostituire il classico pulito maschile, ma il distacco tra i due è un po’ troppo netto per funzionare realmente.
Come lavoro djent, è buono. Chitarre distorte iperpulite, accordi dissonanti, voce maschile growl/scream non troppo convincente e la voce femminile di cui sopra, stilisticamente simile agli Eluveitie. La produzione è chiaramente basata su questo stile, però, e non sul lato folk: il risultato è un EP che suona un po’ troppo pulito per l’obiettivo che si è prefissato, un po’ troppo iperprodotto e sintetico rispetto alla rozzezza che caratterizza il genere. È uno dei pochi casi in cui un lavoro in studio effettuato col misurino fa più male che bene alle canzoni, ed è un peccato.
Reset è una mezza delusione, ma solo mezza. Non direi che hanno sprecato un’ottima occasione, quanto che non l’hanno considerata, e devo ammettere che la mia impressione è influenzata dalle grandi aspettative che mi ha creato la premessa. Hanno unito insieme ottimi elementi folk e decenti elementi djent, ma il risultato è minore della somma delle parti e esce dalle casse molto meno impressionante di quanto avrebbe potuto essere. In ogni caso, è un EP piuttosto unico e il mio consiglio resta quello di darci comunque un’occhiata.
Tracklist
- ReSet
- Two Faced
- Evolution
- Valutazione: 7 / 10