Winterage – The Harmonic Passage

Winterage – The Harmonic Passage

Il disco

  • Etichetta:Nadir Music
  • Città:Genova
  • Genere:Power Symphonic Metal
  • Line Up:
    • Daniele Barbarossa (Voce)
    • Gabriele Boschi (Violino)
    • Dario Gisotti (Tastiere)
    • Riccardo Gisotti (Chitarre)
    • Matteo Raganini (Basso)
    • Davide Bartoli: (Batteria)
Winterage – The Harmonic Passage

The Harmonic Passage potrebbe essere il primo disco che ho paura di recensire.

Una parentesi storica. Seguo gli Winterage praticamente dall’inizio, da quel semicapolavoro strumentale che era Ancient Forces (dal loro EP di debutto) e sapevo fin dal primo ascolto che si trattava di gente di cui avrei presto sentito parlare. Ma il gruppo ha sempre avuto due problemi che li ha perseguitati: uno era una lentezza nel comporre materiale pari alla velocità di slittamento di un ghiacciaio alpino, l’altro era il non sapere esattamente cosa loro stessi volessero fare con la voce.

Se dal punto di vista strumentale la maturità compositiva era notevole, e decisamente sopra la media nel panorama symphonic nostrano, il cantato è sempre stato titubante, e non in grado di reggere il confronto col resto della musica. Era quasi come se si sentissero forzati a farlo, come se qualcuno avesse detto loro che se volevano rilasciare qualcosa basato sul suono del violino solista in un contesto power, dovevano per forza metterlo in mezzo a ritornelli cantabili e voce pulita, a cui non sembravano davvero essere interessati. Quindi, quando è saltato fuori che erano impegnati in un massiccio lavoro orchestrale della grandezza di un album ho incrociato le dita, sperando che avessero fatto definitivamente il salto nel mondo dello strumentale. E invece hanno messo le mani su un cantante. Anzi, una decina.

E io ho passato mezz’ora a guardare la copertina in preda al terrore.

Alla fine, dopo aver acceso un cero a Turilli e inserito il cd nello stereo, ho deciso di mettermi al lavoro. Il risultato? Molto complesso, e difficile da riassumere in poche righe, quindi spero mi scuserete se mi prendo molto più spazio del necessario per farlo. Lo meritano i fan, e lo meritano gli Winterage.

Facciamo con ordine. È un lavoro di power metal sinfonico con leggeri tocchi folk, come si puo’ intuire dal titolo. I richiami a gruppi come Blind Guardian e i nostrani Rhapsody (che ormai, per i gruppi power vagamente sinfonici italiani, sono da dare così scontati che mi sono ripromesso di non citarli più) vengono immediati: doppia cassa a elicottero, ritornelli cantabili, influenza del neoclassico, cantato operistico e orchestrazioni. Un sacco di orchestrazioni.

Se c’è una cosa che si nota subito, è che invece di lavorare con tastiere o strumenti sintetizzati il gruppo ha scelto di prendere la strada più lunga e registrare ogni singola parte orchestrale in studio, per poi aggiungere i circa quaranta musicisti addizionali ai brani.
Quaranta musicisti addizionali. Per quante critiche si possano fare al progetto, e alcune ne ho (sebbene quelli di voi a cui piacciono gli spoiler abbiamo notato che il voto finale è nettamente positivo), non si puo’ negare che il risultato è mastodontico, sia come suono del gruppo che se comparato con altre band che lavorano con orchestre. I gruppi che ho citato prima, infatti, sono band con un seguito e un ritorno economico tale da poter approvare senza particolari problemi questo genere di sforzi. Che un gruppo agli esordi sia riuscito in questa impresa, sia dal punto di vista dell’impegno che della capacità di scrittura, è già di per se un risultato encomiabile. L’ho detto in passato, e lo ripeterò ancora: teneteli d’occhio, voi che tirate i fili dell’industria musicale.

L’età del gruppo non è solo un punto di forza, però. Ci sono un paio di situazioni in cui una maggiore esperienza avrebbe potuto dare risultati migliori (la parte iniziale di Crowd To The Crowns poteva godere di un po’ di complessità in più, La Caccia Di Turin ha un narratore che più che ispirare epicità fa sorridere, e i testi, soprattutto in italiano, suonano a volte un po’ forzati e banali), ma l’energia e la fiducia che escono da brani come Golden Worm, una delle tracce più guitar-oriented con innegabili richiami a Rhapsody e Malmsteen, o l’atteggiamento sullo stile dei Fiaba de La Grotta Di Cristallo, dove cantato e narrazione paiono raggiungere un compromesso molto efficace per tutta la durata del brano, sorretto da un’alternanza di folk e barocco davvero interessante, e che a mio parere è quello che definisce veramente il suono del gruppo.

Il livello tecnico, soprattutto nel caso dei cantanti coinvolti, va dal molto buono al fenomenale. La chitarra di Riccardo Ghisotti si conferma una sicurezza nel suo campo, anche se il suono scelto potrebbe far storcere il naso a qualche purista, e l’acuto del Barbarossa che apre Golden Worm porta alla mente molti graditi ricordi delle gare a chi tirava più in alto che parevano una tradizione del genere. Le orchestrazioni sono un po’ più altalenanti, e sebbene siano sempre valide, ci sono punti in cui si sarebbe potuto fare qualcosa di più (Victory March suona un po’ scarna, per dover evocare immagini di vittoria e trionfo, ma funziona benissimo come showpiece di abilità solistiche) e momenti come l’ultima parte di The Awakening in cui qualcosa scatta nel cervello dei membri del gruppo, momenti che meritano di essere segnati tra i migliori del genere. L’album oltre a essere un lavoro dalla portata gigantesca, è molto ben prodotto e strutturato con cervello, pieno di citazioni musicali e merita un ascolto da parte di chiunque abbia solo un minuscolo interesse nel power e nell’orchestrale.

Non sono convinto, però, che sia IL capolavoro del gruppo. Come con tutti i loro lavori che ho ascoltato, lascio l’ascolto con la seria impressione che il punto più alto della loro carriera sia ancora lontano. Avevo grosse speranze per questo album, e sebbene non posso dire che siano state tradite, non sono ancora pienamente soddisfatto del risultato. C’è ancora tantissima strada da percorrere, e ancora molto da dire, è questo che resta dall’ascolto ripetuto: un vero vantaggio per un gruppo che ha dimostrato di avere i mezzi e le idee per portare a termine progetti parecchio impegnativi. Bravi. Continuate su questa strada.

Ho un ultimo avvertimento, però. Utilizzare più di quaranta strumentisti, oltre a costringere a forti compromessi live, vuol dire annacquare il suono in quaranta parti diverse. Per un gruppo agli inizi la cosa più importante è potersi costruire un’identità, un proprio sound. Aggiungere decine di input diversi garantisce l’attenzione della stampa ma potrebbe essere una decisione rischiosa per il futuro sviluppo della propria musica.

Ma d’altronde io sono solo un tizio che scrive su internet, quindi del mio consiglio fatene quel che volete. Per ora i risultati sono ottimi, e vedremo cosa faranno nei loro album futuri. Solo, non metteteci altri sei anni, ok?

Tracklist

  1. Ouverture in do minore - 3'52"
  2. The Harmonic Passage - 5'56"
  3. The Flame Shall Not Fade - 7'02"
  4. Wirewings - 4'10"
  5. Son of Winter - 6'09"
  6. La caccia di Tùrin - 1'10"
  7. Golden Worm - 5'51"
  8. Victory March - 3'47"
  9. La grotta di cristallo - 6'32"
  10. Crown to the Crowds - 6'16"
  11. Panserbjørne - 4'39"
  12. The Endless Well - 5'28"
  13. Awakening - 8'55"
  • Valutazione: 8 / 10