MainPain – The Empirical Shape Of Pain

MainPain – The Empirical Shape Of Pain

Il disco

  • Etichetta:Diverso Edizioni Musicali
  • Città:Novara
  • Genere:Heavy Metal
  • Line Up:
    • Ronnie Borgese (voce)
    • Dave Valli (voce, chitarra)
    • Gianmarco Bonenti (batteria)
    • Paolo Raffaello (chitarra)
    • Daniele Tamborini (basso)
MainPain – The Empirical Shape Of Pain

Dopo più di un lustro dalla loro ultima fatica in studio tornano i MainPain, formazione attiva dal 1996 che può essere a pieno titolo inserita tra gli alfieri della NWOBHM italiana.
Registrato al “The House of Groove” di Diego Cattaneo, “The Empirical Shape of Pain” si presenta come un manifesto della proposta musicale dei cinque musicisti, che non si ferma al metal di stampo classico ma abbraccia atmosfere dark, sfuriate dal sapore quasi thrash e riff potenti e aggressivi, il tutto su un impianto sonoro dal timbro moderno ed esplosivo.

 La godibile intro strumentale “The arrival” dona fin dall’inizio un timbro dark e intenso al disco, permettendo di immergersi nell’ascolto e aprirsi al bellissimo riff di stampo quasi melodeath che introduce “The Healer”, un pezzo aggressivo in cui l’ottimo guitarwork della coppia Valli/Raffaello viene supportato da un drumming semplice ma a dir poco efficace e da un basso preciso e pulsante. Il sound è potente e moderno e il pezzo fila che è un piacere, alternando momenti più classici ad altri più groovy, soprattutto grazie a una serie di riff davvero pregevoli: l’unico momento rivedibile è il solo, che dà l’impressione di essere un po’ slegato dal resto. Il livello si mantiene alto anche con la successiva “Blood Arena” in cui ancora una volta le chitarre sembrano essere decisamente ispirate, accompagnando una voce che si esprime attraverso linee vocali godibili. Anche i lead questa volta sono meglio inseriti nel contesto generale e rimangono in testa. “Kiss of death”, come si evince dal titolo stesso, rappresenta un aumento del livello di violenza sonora nel platter: le chitarre si fanno più oscure e il drumming è più serrato. Tutto questo viene poi interrotto da un indovinato stacco clean, in cui le due chitarre intrecciano arpeggi e melodie ben supportate dalla coppia Tamborini-Bonenti. Azzeccata anche la parte strumentale in seguito, con un lungo solo, mentre non convince lo stacco netto che riprende il riff e il cantato iniziale, portando la canzone a durare probabilmente più a lungo di quanto fosse necessario. “Cleopatra” è uno dei due pezzi più lunghi del disco, quasi 10 minuti in cui i MainPain si lasciano trasportare in momenti più progressivi e lasciano fluire la loro creatività in lunghi momenti strumentali, a volte troppo lunghi e ossessivi ma spesso azzeccati e interessanti. “On the run” è invece un pezzo completamente diverso, in cui un perfetto riff hard rock – di quelli che ti rimangono in testa al primo ascolto – apre la strada a una serie di riff veloci e pattern di batteria up tempo che lo rendono a mio giudizio uno dei pezzi più indovinati dell’intero platter. “The spiral” ci riporta su territori più “metallici”, con le chitarre decisamente in primo piano grazie a una serie di riff armonizzati che supportano alla perfezione la voce di Borgese, abile nel scegliere i momenti in cui cantare e quelli in cui lasciare spazio agli axeman, che questa volta indovinano anche l’assolo, davvero bello. Ancora una volta, l’unico appunto da muovere è forse l’eccessiva lunghezza del pezzo, che tende a ripetere un po’ troppe volte gli stessi riff, che per quanto ben fatti rischiano di suonare ridondanti. “Wake up the sleeping giant” inizia con un lungo arpeggio, e fin dall’inizio I nostri lasciano capire che questa è la vera suite del disco, un pezzo di più di 12 minuti in cui il cantato è inizialmente protagonista, con una linea melodica emozionante e azzeccata che introduce un bell’assolo. In un crescendo tipico del metal classico, un riff veloce e metallico arriva a cambiare il tono della canzone, che presenterà in seguito alcuni mid tempo davvero aggressivi, lasciando però anche spazio alle chitarre per sciorinare lead e assoli in quantità. Con “Reflex of the events” il disco si avvia alla conclusione, e i nostri scelgono di farlo continuando con la ricetta che hanno usato per quasi tutti i pezzi: un bel riff di chitarra iniziale e un drumming veloce e quadrato col cantato che entra in seguito. Questa volta è il basso a distinguersi per un paio di bei riff. Il disco si conclude con la titletrack, un pezzo strumentale affidato alla bellezza e alla semplicità della chitarra acustica, che dipana una serie di arpeggi davvero ben fatti, concludendo il lavoro nel migliore dei modi.  

In conclusione, un disco che presenta diversi punti a suo favore, in primis l’eccellente lavoro svolto dai chitarristi, davvero ispirati, e il puntuale supporto della sezione ritmica, il tutto coronato da una voce talentuosa e perfettamente a suo agio nell’interpretare il metal di stampo classico. Tra gli aspetti rivedibili si segnalano una non sempre perfetta pronuncia dell’inglese da parte del cantante, una certa ripetitività nella struttura dei pezzi e una tendenza a replicare una volta di troppo lo stesso riff. Nel complesso “The Empirical Shape of Pain” rimane un lavoro caldamente consigliato a tutti gli amanti del genere, che conferma una volta di più che sul suolo italico ci sono band che non hanno nulla da invidiare ai colleghi di tutto il mondo.

Tracklist

  1. The Arrival
  2. The Healer
  3. Blood Arena
  4. Kiss Of Death
  5. Cleopatra
  6. On The Run
  7. The Spiral
  8. Wake Up The Sleepin' Giant
  9. Reflex Of Events
  10. The Empirical Shape Of Pain
  • Valutazione: 7 / 10