Il libro
- Autore:
- Andrew O’Neill
- Editore:Sperling & Kupfer
- Anno:2018
- ISBN:978-8820064839
«Al mondo ci sono due categorie di persone: quelle a cui piace l’heavy metal e i cretini».
Con un inizio del genere, le premesse per affrontare un ottimo libro c’erano tutte, peraltro sostenute dallo scoprire che il comico britannico è anche autore di uno spettacolo teatrale intitolato Andrew O’Neill’s History of Heavy Metal, che ha riscosso un enorme successo in patria.
Mi sbagliavo.
Il tentativo di narrare l’evoluzione musicale che ha originato, costruito e sviluppato l’heavy metal si riduce infatti a un racconto confuso, raffazzonato, colmo di imprecisioni e contraddizioni imbarazzanti, soprattutto nella parte che pretende di descrivere il periodo fra gli anni ’60 e gli anni ’70. E anche dal lato umoristico la narrazione lascia a desiderare, non tanto per un imprecisato humour inglese che qualche buonpensante ha descritto come «difficile da comprendere» per i non albionici, quanto per il reiterato ostentare viscide frecciatine, insulti gratuiti e banalità da prima asilo che, più che ai Monty Python, fanno pensare alle recenti involuzioni di italici giornalisti convinti che storpiare un cognome sia un atto rivoluzionario. Per capirci, è indiscutibile che l’estetica sia e debba essere soggettiva, ma se non ti piacciono i Whitesnake puoi evitare di nominarli solo per scrivere che «possono andare a farsi fottere», così come se non ti piacciono i Grand Funk Railroad puoi scegliere di non citarli continuamente, specie dopo che hai più volte ribadito che «non sono metal».
E anche le illusioni sulle presunte competenze musicali dell’autore vengono meno quando, ad esempio, si legge che «Ai loro tempi i Led Zeppelin erano considerati una band heavy metal a pieno titolo», tesi ormai rimasta in auge solo fra i fans delle Babymetal, mentre passando a un punto di vista prettamente stilistico leggere che gli stessi Led Zeppelin «Alle mie orecchie sono una band blues che suona in overdrive, non una band heavy metal» conferma una certa difficoltà nel capire cosa è e cosa non è heavy metal (e anche i Led Zeppelin…), cortocircuito mentale che esplode nel periodo «Ma dopo che i Judas Priest e le band della New Wave of British Heavy Metal hanno sviluppato il genere trasformandolo in qualcosa di molto più caratteristico, i Led Zeppelin non sono più riusciti a rientrarci tanto facilmente». Fortunatamente per i Led Zeppelin, a un certo punto l’obnubilato autore definisce una volta per tutte questa band – che era considerata metal ma suonava blues e non era riuscita a rientrare nel circuito metal – con un lapidario: «Non è heavy metal». E ora che anch’io mi sento più tranquillo, non vedo l’ora di farlo sapere a Jimmy Page.
Mi dispiace, ma in questo libro c’è davvero poco da salvare. Anzi, a ben vedere, dopo la promettente frase di apertura, l’unica parte degna di nota è l’appendice, dove l’autore ipotizza (qui sì con comicità e ironia) fatti e sviluppi degli anni a venire, poche pagine dove si riesce a sorridere proprio perché scritte con quella precisa intenzione, a differenza delle precedenti.
Insomma, tornando alla frase di apertura del libro, non sono così sicuro che a Andrew O’Neill piaccia l’heavy metal.