Motörhead: suonare, suonare…

Motörhead: suonare, suonare…

Leggenda, mito, modello, genio, maestro, idolo…

Non sono molti i musicisti (specie se ancora in vita) il cui nome può essere accostato a questi o simili termini senza debordare nell’esagerazione o nell’incensamento spropositato, che recentemente troppo spesso riguarda personaggi con poche speranze di costruire una carriera lunga, redditizia e artisticamente di un livello tale far guadagnare l’ingresso nella storia della musica.

Ian Fraser Kilmister, universalmente conosciuto come Lemmy, è tutto questo. E forse qualcosa di più.

Ripercorrere i passi della carriera di Lemmy sarebbe un lavoro lunghissimo, oltre che ripetitivo, visto che è dagli anni ’70 che questo splendido prodotto della terra d’Albione si è imposto sulla scena musicale planetaria; e comunque, per conoscere velocemente qualche dettaglio, c’è sempre l’autobiografia intitolata La sottile linea bianca, edita da Baldini e Castoldi, un libro incredibilmente divertente e sfortunatamente troppo breve. Ma per i meno informati (probabilmente l’eufemismo del secolo…) basti sapere che, una volta uscito dagli Hawkwind – alfieri dello Space Rock mondiale – Lemmy decise di non restare con le mani in mano e nel 1975 fondò una band chiamata Motörhead. Oggi, a quarant’anni di distanza, Lemmy è ancora qui, accompagnato dai fidi Phil Campbell alla chitarra e Mikkey Dee alla batteria, ad insegnare al mondo cosa significa suonare Rock ‘n’ Roll grazie ad un tour mondiale che celebra un giubileo impreziosito dall’uscita di “Bad Magic”, l’album numero 22 della discografia della band, che uscirà in contemporanea mondiale il prossimo 28 agosto. La professionalità e la disponibilità dell’agenzia KezzMe! Ltd., nella figura della per me ormai indispensabile Pamela, mi hanno permesso di contattare Lemmy, il quale – nonostante gli impegni legati alla preparazione della parte nordamericana dell’Anniversary Tour – ha dedicato un poco del suo tempo per rispondere a qualche domanda sul passato e sul presente dei Motörhead.

Inizierei dal titolo dell’album: qual è il significato di Bad Magic?

Mentre pensavamo a quale titolo dare all’album (una possibilità era Evil Eye) è venuto fuori “Bad Magic”, e abbiamo pensato tutti che si sarebbe adattato benissimo al contenuto del disco.

Considero Bad Magic uno dei migliori album dei Motörhead, traboccante di grandi canzoni e di una immensa energia: quale strada avete seguito per arrivare da Aftershock a Bad Magic?

Grazie, devo dire che il disco è uscito bene… Ma non abbiamo seguito nessuna strada, nessuno schema: siamo semplicemente andati in studio, abbiamo scritto, abbiamo suonato e abbiamo registrato. L’unica piccola modifica ha riguardato il processo di scrittura e di registrazione, che ci visti lavorare in studio tutti insieme anziché incidere individualmente ognuno la propria parte come eravamo abituati a fare.

Dall’inizio degli anni ’90 i Motörhead hanno iniziato a includere nei propri dischi alcune power ballads, e ricordo bene la sorpresa di molti fans nell’ascoltare per la prima volta brani quali Love Me Forever, I Ain’t No Nice Guy o Don’t Let Daddy Kiss Me. E anche Bad Magic contiene una ballad, Till The End: qual è il processo creativo che hai seguito per scrivere un’intensa, magnifica canzone come questa?

Per me non c’è differenza fra lo scrivere una canzone come Till The End e qualsiasi altro pezzo: la parte musicale è completata, hai un’idea che ti gira in testa e inizi a scrivere le liriche. Abbiamo sempre avuto una ballad nei nostri album.

Nel 2000 avete inserito la cover di God Save The Queen dei Sex Pistols nell’album We Are Motörhead; dopo 15 anni è la volta di un’altra cover, una grande versione di Sympathy For The Devil dei Rolling Stones: perché avete scelto questo brano come bonus track?

Più che altro si è trattato di coincidenze. Anzi, non l’abbiamo scelta proprio noi: il wrestler Triple H ci aveva chiesto di registrare questo pezzo per inserirlo nel suo documentario, ma la versione ci è piaciuta molto, e allora è finita nel nostro album.

Durante la tua carriera sei passato attraverso un’infinità di cambiamenti che hanno interessato la scena Hard Rock/Heavy Metal: qual è la tua opinione sulla sua evoluzione durante questi anni? E come vedi il suo futuro?

Mi piacerebbe assistere a un ritorno alle belle canzoni. Vedo un sacco di gruppi, in questi ultimi anni, che sembrano concentrarsi maggiormente sul light show o sui costumi – il che va bene, immagino, ma preferirei che le canzoni venissero al primo posto.

In questo 2015 i Motörhead stanno celebrano 40 anni di Rock ‘N’ Roll con un nuovo disco e un nuovo tour mondiale, dopo 21 album in studio e centinaia e centinaia di concerti: c’è un segreto dietro ad una carriera così lunga e sempre ad alto livello? E come spieghi la tua eterna ispirazione nello scrivere testi e musiche, davvero straordinaria quando vediamo giovani musicisti perdere qualsiasi traccia di creatività dopo un paio di dischi?

Restare vivi è il segreto. E l’ho già detto molte altre volte: i Motörhead sono la mia vita.

Dopo la lunga parentesi negli Stati Uniti l’Anniversary Tour arriverà in Europa durante l’autunno, ma al momento sono confermate date in Francia, Germania, Danimarca, Svezia, Norvegia e Finlandia: hai un’idea di quando i Motörhead torneranno in Italia?

Per quanto ne so dovrebbe essere confermata qualche data per l’inizio del 2016.

Ultima domanda: qual è il tuo bilancio di questi quarant’anni di Motörhead?

«Sure beats a sharp stick in the eye».

Nella conclusione della citata autobiografia, pubblicata nel 2002, Lemmy chiudeva il libro con questa frase: «Comunque, io sono vivo e vegeto, e questa non è certo l’ultima volta che sentirete parlare di me», e francamente concentrare negli ultimi 13 anni la bellezza di 6 album in studio, 6 live, 5 singoli, 8 dvd e una ventina di compilation (per non parlare dei concerti) corrisponde abbastanza a quanto prospettato con quelle parole. Ma i Motörhead sono così: invincibili, inarrestabili, un gruppo che è caduto mille volte per rialzarsi sempre una volta in più, trascinato da quel grande artista, personaggio e uomo chiamato Lemmy, che a dispetto degli ormai prossimi 70 anni e delle recenti traversie fisiche è ancora lì, in prima linea, sempre un passo avanti, inseguito da moltitudini che vorrebbero essere come lui senza che nessuno riesca mai a raggiungerlo. Perché – ed è verità, non retorica – nessuno potrà mai essere come Lemmy.

E poco dopo la redazione di questa intervista arriva la notizia di due date italiane dell’Anniversary Tour previste per il febbraio 2016 (a Milano e a Trento) che vedranno i Motörhead accompagnati dai Saxon e dalle Girlschool, cosa che mi permette di ritornare all’introduzione di questo articolo, in cui ho accennato al passato e al presente dei Motörhead evitando volutamente di descrivere un futuro che, molto semplicemente, è tutto qui: scrivere canzoni, registrare un disco, andare in tour e suonare.

Questo è il futuro dei Motörhead. Questo è il futuro di Lemmy.

Una leggenda. Vera.

Pubblicato per gentile concessione di MoVida Magazine