” Il verace Väinämöinen i suoi giorni trascorreva
n quei campi di Väinöla, nelle lande di Kaleva.
I suoi versi ricantava, i suoi canti di magia.
Recitava lunghi giorni, lunghe notti senza posa,
quelle antiche ricordanze delle origini profonde,
che non canta ogni ragazzo, che non ogni uomo comprende
ora, in questi tempi tristi, nell’età che giù decade.”
Per iniziare a raccontare i Kalevala h.m.s. non si può che partire dal poema principe dell’epica finlandese, da cui i nostri bardi hanno preso il nome. Tra le pagine del Kalevala, infatti, troviamo una grande varietà di temi, siano essi legati alla guerra, alle stagioni, alle tradizioni ancestrali di quel popolo così lontano da noi nello spazio e nel tempo, eppure così vicino grazie all’inesauribile fascino che esercita su di noi tutto ciò che proviene dal passato e dai paesi scandinavi.
Quest’ampiezza di temi e ispirazioni sembra essere passata direttamente dal libro alla musica dei Nostri, che in più di 15 anni di attività hanno saputo unire sonorità che vanno dal metal al rock anni ’70, dalla musica celtica al folk più danzereccio, il tutto in un amalgama coerente e gustoso. Anche sul piano lirico la band si è sempre distinta per un utilizzo originale della lingua, prediligendo l’inglese ma lasciando ampio spazio all’italiano, in alcuni casi addirittura arcaico (come nella rivisitazione in musica del famoso sonetto “S’ì fosse foco” di Cecco Angiolieri).
I Kalevala si sono costruiti una solida reputazione suonando costantemente su e giù per la penisola, ma anche all’estero (soprattutto in Inghilterra), dividendo il palco con le maggiori realtà della scena folk e rock italiana e internazionale (basta pensare a nomi come Corvus Corax, Folkstone, Skyclad, Cruachan, Korpiklaani, Clive Bunker degli Jethro Tull e altri ancora).
Oltre a essere eccellenti esecutori e compositori, insomma musicisti e artisti a tutto tondo, chi ha avuto il piacere di condividere ormai numerose volte il palco e la tavola con loro può garantire che i Kalevala sono anche invidiabili compagni di serata, persone davvero umili e piacevoli ma anche ironiche, spiritose e divertenti. Dopo una breve rassegna delle loro opere principali (per alcune di esse vi rimando alle recensioni più dettagliate fatte dalla nostra webzine, che potete trovare qui e qui), potrete avere conferma di quanto sto dicendo nell’intervista che troverete in seguito fatta a Daniele, chitarrista e leader carismatico della band (ma non diteglielo troppo forte, che poi crede che gli stiate dando del ladro e si arrabbia).
Dopo aver introdotto la band, possiamo ora cercare di analizzare più nel dettaglio il percorso artistico e musicale dei Kalevala, partendo dal loro esordio, ovvero un demo realizzato nel lontano 1998 dal titolo Fall: nelle 4 tracce registrate i nostri miscelano un metal di stampo epico con influenze folk e medievali, ma all’interno della proposta è chiaro fin da subito come una certa componente di stampo hard rock settantiano reclami maggior presenza – cosa che otterrà nei successivi lavori. Di questo demo è rilevante anche l’omaggio a Danzig, punto di riferimento per i Kalevala al di là del genere musicale.
Col successivo lavoro (World’s End Inn, datato 2003), la band denota una marcata crescita musicale. L’orientamento verso le atmosfere irlandesi e il folk è sempre più marcato, e il tutto viene omogeneizzato da un collante che non è più il metal ma un hard rock grezzo e convincente di chiara matrice settantiana. Alcuni pezzi presenti all’interno del mini cd (7 brani in tutto) quali Theoden Speech, Heritage Cry e Faerie sono rivisitazioni dei pezzi del vecchio demo, suonati con tutta la maggior maturità di cui i musicisti dispongono dopo 5 anni di attività.
L’anno successivo i Kalevala decidono di dare voce anche alla propria dimensione live acustica. L’intensa attività live svolta dai musicisti tra taverne, antiche corti e birrerie è fondamentale per capire lo spirito dei Kalevala e la loro attitudine, e “Quinze Marins” (2004) ci porta dritti dritti in un mondo di birra, idromele, canzoni allegre e ballate malinconiche, il tutto nell’atmosfera calda e accogliente degli strumenti acustici registrati live. Naturalmente, nonostante l’ampia e predominante presenza di folk, soprattutto di matrice irish, non poteva certo mancare l’anima rock e metal dei Kalevala, che si divertono a inserire cover di Black Sabbath e Uriah Heep all’interno delle 10 tracce che compongono questo disco, prova di una maturità artistica e di una chiarezza stilistica ormai piene.
Quattro anni dopo viene pubblicata una nuova edizione di “Quinze Marins”, ancora una volta unplugged e ancora una volta live, in occasione dell’esibizione della band al Teatro dei Tamburi di Novellara. Alcuni brani sono presenti in entrambe le versioni, anche se questa presenta ben 15 brani che si concentrano quasi esclusivamente su temi folk, celtic e irish, escludendo le cover di Black Sabbath e Uriah Heep presenti nel disco precedente.
Lo stesso anno la corposa discografia dei Kalevala viene arricchita di un altro tassello: Rigmarole è un promo cd di sole quattro tracce, preludio del primo vero full lenght dei Kalevala, che arriverà dopo più di dieci anni di attività live. Nel promo sono contenute tre tracce che andranno a formare il disco vero e proprio, oltre a una splendida cover del Ballo in Fa Diesis Minore, che rimarrà un classico e una presenza fissa in tutti gli show live della band.
Se per il primo episodio dei Kalevala sulla lunga distanza dovremo attendere ancora, l’anno successivo (siamo al 2009) esce il Musichiere Benefico Invernale, altra registrazione live in occasione del concerto tenutosi all’antico Teatro dell’Opera Magnani di Fidenza. In questa occasione i Kalevala reinterpretano numerosi brani già registrati in precedenza, durante una serata in compagnia di ospiti illustri e piena di partecipazioni d’eccezione. Il disco contiene 15 tracce, e per qualche tempo rimarrà l’ultimo documento live dei nostri.
Nel 2011 esce infatti Musicanti di Brema, l’ormai atteso esordio in studio dei Kalevala, che presentano un full lenght ricchissimo di suggestioni e spunti. Per la prima volta, infatti, la band rilascia un disco composto quasi esclusivamente di tracce originali, senza cover o rivisitazioni di antiche ballate. Naturalmente, le influenze della musica celtica, rock e irish sono ben presenti, ma vengono questa volta incanalate in un percorso artistico originale. Fin dall’opener Time Bandits la band mostra una vena compositiva travolgente, con un rock coinvolgente e ballabile arricchito da numerosi voci e dall’ottimo lavoro del flauto traverso, elementi che caratterizzano fin da subito il songwriting dei Kalevala. Building a Cromlech si mantiene sulle stesse coordinate stilistiche, e grazie al ritornello davvero indovinato diventa un classico che si ripete in tutti i live scatenando i presenti. Ride’em Cowbell ci porta invece su atmosfere più medievali, che unite a un irresistibile spirito danzereccio porta a ballare sulle linee vocali di Simone Casula, particolarmente indovinate e che a volte (seppur in un contesto totalmente diverso) ricordano certi vocalist heavy metal alla Bruce Dickinson. Nel bridge centrale i Kalevala si mostrano anche decisamente aperti a sperimentazioni quasi progressive, sempre lavorando benissimo con una molteplicità di voci. Living Drome si apre in modo più pesante, quasi stoner, con un massiccio riff di chitarra, strumento che manterrà un ruolo centrale per tutto il pezzo, decisamente più cadenzato e “heavy” degli altri.
Il pezzo successivo è ancora una volta Ballo in Fa Diesis Minore, brano che non ha certo bisogno di presentazioni e che i Nostri eseguono con un’originalità invidiabile, riuscendo però a mantenere intatto lo spirito originario della canzone. Bouchons de Liege ha invece un sapore quasi rinascimentale, in cui a rivestire un ruolo fondamentale è questa volta la fisarmonica, finchè traverso e chitarra non introducono la parte più carica della canzone, in cui spicca il testo in francese cantato dal sempre ottimo Simone. La successiva Weila Waila era già una vecchia conoscenza dei fan dei Kalevala, già un classico dei loro live prima ancora di essere incisa: giocata su un ritmo incalzante e sullo scambio tra la voce del cantante principale e i cori fatti dagli altri musicisti (peraltro bravissimi anche come coristi, anche in sede live), è praticamente perfetta per essere eseguita dal vivo e coinvolgere gli spettatori in un continuo gioco di cori.
Necropolitan si apre invece in modo molto diverso, con un’introduzione quasi capeggiante che poi si apre a un pesante riff di chitarra che costituirà la vera ossatura della canzone, giocata su accordi particolari e progressioni molto particolari e vicine agli anni Settanta, che lo rendono certamente uno dei brani più difficili da interiorizzare al primo ascolto. Rigmarole ci riporta invece su atmosfere irish più familiari: rivisitazione del pezzo registrato ormai tre anni prima che aveva dato il titolo al promo del 2008, presenta ancora una volta linee vocali melodiche ma al tempo stesso aggressive, supportate da una chitarra molto groovy che non vuole mai essere protagonista ma, insieme al basso, dona un impianto ritmico particolare e godibile all’intero brano (e a tutto il disco).
Ten Ton Butterfly ci porta verso la conclusione del disco: introdotta da un lungo giro di traverso supportato dal basso, la canzone esprime al meglio l’anima vicina al celtic rock di stampo medievale della band, senza perdere questo gusto anche quando entra la chitarra distorta di Daniele. Il pezzo è anche l’unico strumentale del disco. In modo diverso si apre Albumin Vampire, canzone particolare che inizia come un pezzo rock radiofonico, con un arpeggio melodico a sostenere una morbida linea vocale. In seguito il pezzo torna a essere decisamente più duro rientrando nelle coordinate ritmiche e melodiche più caratteristiche dei Kalevala. Il disco di chiude con la titletrack Musicanti di Brema, introdotta da una bella linea vocale di Simone Casula, modalità di songwriting che nel disco successivo diventerà molto frequente. L’incipit è lungo e assomiglia a un lungo poema, permettendo di sfruttare tutta la musicalità della lingua italiana, finchè improvvisamente il cantato passa in inglese, e la canzone si apre all’incedere possente della chitarra distorta. Da qui alla fine il pezzo si alternerà tra italiano, nelle parti intermedie, e inglese per le sezioni più potenti e disorte.
Nel complesso il lavoro dimostra la notevole capacità compositiva raggiunta dalla band nell’attività più che decennale: una sezione ritmica davvero originale e sempre precisa e variegata, supportata da un lavoro chitarristico mai protagonista con inutili assoli od orpelli, ma sempre accurato, presente e potente. A regalare gemme di puro talento ci pensano poi il flauto traverso e la fisarmonica, insieme all’ottima voce, supportata da altrettanto bravi coristi. Viste le premesse, non poteva passare molto tempo perché si arrivasse al secondo full-lenght, There and Back Again.
La stantuffante macchina artistica dei Kalevala non si ferma però qui: di recentissima uscita è il pregevole DVD live Tuoni Baleni Fulmini, opera che raccoglie tutti i brani storici della band e di cui è da poco uscita su IronFolks la recensione.