Recentemente è balzata ai (dis)onori della cronaca una band romana che, in un’intervista a Metal In Italy, ha dimostrato la stessa umiltà di Pellè col gesto del cucchiaio a Neuer durante Germania-Italia del tre luglio scorso (sì, la stessa partita che due ore prima vi faceva sghignazzare ai meme della Merkel a pecorina1 e che verso le dieci e mezza vi ha fatto recitare l’alfabeto a suon di bestemmie), sortendone l’interruzione della collaborazione tra questi e la loro etichetta. Gli ennesimi trombati del Jobs Act.
Sebbene gettare benzina sul fuoco sarebbe molto più comodo per chi scrive e molto più gustoso per chi legge – soprattutto per godere di certi flame riguardanti nomi più o meno grossi della scena italiana – non ho potuto fare a meno di soffermarmi sulla dicitura usata dalla band sopra citata e, di riflesso, dalla loro ex etichetta: “Female Death Metal Band“. Ovviamente non è una categoria nuova, questa, ma verrebbe da pensare, con ingenuità, che “Male Metal Band” per portatori sani di fava non s’è mai sentita la necessità di crearla.
Stessa roba vale per il cosiddetto Female Fronted, a quanto pare genere coniato per quelle band d’ispirazione goth alla The 3rd and the Mortal, che negli Anni Novanta prosperarono fino alla decade successiva (Xandria, Nightwish, i furono After Forever, Tristania e via dicendo) regalandoci orchestrazioni barocche, gorgheggi lirici, tonnellate di synth e costole incrinate da corsetto. In tutto ciò, alcuni di questi gruppi hanno fatto anche cose buone, tipo sciogliersi.
Si diceva, quindi: cosa significa female fronted band nel 2016?
Cosa accomuna la meravigliosa voce di Sara Squadrani dei nostrani Ancient Bards a Fernanda Lira delle Nervosa?
…
Esatto, proprio quella: la militanza in un gruppo! *Risate registrate*
La classificazione di una band secondo il sesso del frontman/frontwoman è quanto di più sbagliato ed autolesionista si possa fare in un mondo in cui dovrebbe essere soltanto la musica a parlare. Senza dubbio un’alta percentuale del lavoro di un gruppo è orientata all’apparenza, in quanto suonare è, indipendentemente dalla scena, una forma di intrattenimento. Un intrattenimento che è spettacolarizzazione, dalla performance visiva che durante il concerto agisce da imprimatur nei confronti del pubblico fino al logo, al vestiario e all’immagine di riferimento omogenea e “canonica” del gruppo (cantante di fronte, a fianco il chitarrista con la camicia aperta e il pelo in vista, il batterista di lato con l’espressione truce e poi c’è il bassista, quello che fa le faccette buffe2). Dato ciò, degli occhi e delle orecchie più o meno funzionanti li abbiamo tutti per capire che all’interno di una formazione c’è una componente femminile, dover specificarne la presenza non solo è inutile, ma anche controproducente; non siamo più in un mondo in cui le musiciste donne sono una rarità e neppure all’epoca si usavano queste etichette, basti pensare a Doro, Lita Ford o alle Girlschool: vi sareste mai sognati di definire gli Warlock una female fronted heavy metal band?
La necessità di applicare “female fronted” nasce dall’esigenza di trovare una fetta di pubblico sulla supposizione errata che le donne vogliano sentirsi rappresentate per forza all’interno del panorama musicale da esemplari dello stesso sesso, come se ascoltare semplicemente buona musica, a priori, avesse come condizione l’avere o meno una vagina.
Ignoro il periodo in cui è stato coniato il termine, ma la sua genesi la immagino così: una sera, dopo una serata sul Sunset Strip finita a squillo e shot di Jack Daniel’s e tabasco alla goccia, due Gran Moghul della discografia si lanciano nel sole dell’alba su una Buick Riviera del ’67 ascoltando Crimson & Clover di Joan Jett e gli viene un’idea geniale. Invece di schiantarsi su una palma, qualche ora dopo si trovano ad una scrivania e decidono che le femmine vogliono sentire musica da femmine suonata da femmine. “Female Fronted” diventa un business così redditizio da richiedere un’azione di marketing diretta alle ragazzine: nasce la linea di bambole ruocc’ Jem & The Holograms, uguali ai Poison ma truccate meglio (successivamente uscirà una serie a cartoni ad essa ispirata che ancora perseguita il mio sonno). Trenta e passa anni dopo, siamo sopravvissuti al debutto canoro di Paris Hilton e a Virtual XI, in circostanze normali ciò farebbe di noi i sopravvissuti di una razza evoluta, e invece mi tocca sentire: “Però, mica male quella degli Arch Enemy, per essere una femmina!”.
Musiciste di talento se ne sono sempre viste e saranno sempre più, se certe forme mentis verranno abbattute; non vi imporrò neppure di smettere di usare quella definizione, ma di pensare, piuttosto, a quale sia la sua utilità in un’epoca in cui, a prescindere dal sesso e dalla preparazione, verremo tutti asfaltati da asiatici in età prescolare.
Nota di colore: nel lontano 2008 cercai “female fronted” su Limewire (vi lascio un momento di nostalgia in cui sospirerete pensando alla tanto cara interfaccia verde acido, per poi cliccare su questo) e mi uscirono i Rhapsody.
Sentitevi liberi di suggerire quante più band con elementi femminili considerate valide. Sharing is caring.
Disclaimer:
- Questo articolo non ha la pretesa di essere edificante, non voglio elevare le vostre mentie anzi, vi voglio turpi e osceni, in modo da poter fare gli screen ai commenti e mandarli al mio cuggino alla Postale.
- Le femministe sono animali mitologici metà donne metà tenzone dialettica, ma non vi morderanno l’uccello. Se le rispetterete, ve la potrebbero anche dare. Proprio come le persone normali!
- Chi vi scrive ascolta anche symphonic metal, è andata due volte a sentire i Nightwish e tuttora il genere è tra quelli che conosce meglio. Chi vi scrive ci tiene anche a dire che la razza dei bassisti è meravigliosa.
Note:
- Chi vi scrive ha provato a cercarli per regalarvi cinque secondi di softcore e una vita di incubi ricorrenti, ma Google vi vuole più bene di quanto ve ne voglia io.
- Cari bassisti, io ci tengo a voi, perché durante le prove sapete stare al vostro posto. Con l’ampli spento.