Il disco
- Etichetta:Nuclear Blast Records
- Città:Falun (Svezia)
- Genere:Power Metal
- Line Up:
- Joakim Brodén (voce)
- Thobbe Englund (chitarra)
- Chris Rörland (chitarra)
- Pär Sundström (basso)
- Hannes Van Dahl (batteria)
Mi rifiuto di dare una valutazione a questo disco, perché seguo la massima zappiana sul giornalismo musicale e perché sono una paracula: si tratta di un genere che non ascolto di norma e ho sensazioni discrepanti, che mi porteranno all’analisi che seguirà.
Quando si ha a che fare coi Sabaton l’ascoltatore sa già cosa ci si può aspettare; pauer metla, fluidi corporei, Sherman M4. Perciò, per prepararmi a The Last Stand, ho fatto appello a ciò che rappresenta l’Agoghé dell’Essere Maschio Oggi: maratona di film di Jason Statham, uno stage presso TUA MADRE e una laurea all’Università della Vita; quelle cose che ti fanno spuntare i peli sul petto e Corto Maltese sulla bacheca di Facebook.
Cominciamo con l’aspetto prettamente tecnico del disco. Full-lenght di 45 minuti circa, prodotto da Peter Tätgren – mente tanto brillante da aver composto cose fenomenali con gli Hypocrisy e tanto incomprensibile da aver scritto certa roba urènda coi PAIN che ancora non mi spiego – è stato registrato in un mese ed è, come al solito, sotto Nuclear Blast; a suonare ci sono Brodén, Sundström, Rörland, l’ormai ex Thobbe Englund e UN FOTTUTO MITRAGLIATORE CALIBRO 50 alla batteria col benestare di Hannes Van Dahl, che tanto sta con Floor Jansen, quindi è più felice di me, di te che stai leggendo e di tutti i follower di IronFolks messi insieme.
Rapportarmi con i Sabaton mi viene difficile, stanno in bilico sul labile confine tra adorabile macchietta e act metal degno di nota, scrivono inni coinvolgenti come Attero Dominatus o Ghost Division e poi… poi campionano baionette e 9 mm al posto di charleston e rullante e allegano un carro armato al disco in limited edition.
Comunque, si diceva.
Questo disco è dedicato alle last stand della storia, ossia le resistenze, eroiche e folli, affrontate da diversi eserciti nel corso dei secoli; dal Giappone a Vienna, toccando avvenimenti recenti come il conflitto russo-afghano, o remoti come la Battaglia delle Termopili. Le storie raccontate dai Sabaton sono un grosso punto a favore della band, che raccoglie personalmente i suggerimenti dei fan (anzi, quindi potete addirittura contattarli direttamente qui, le mail le legge il bassista/manager Pär) rielaborandoli attraverso la ricerca, come già successe coi lavori precedenti.
Sparta. Un salto di due millenni ci conduce alle Termopili. Grida d’incitamento che sembrano uscite da 300, un’apertura che gasa. Le succede Last Dying Breath, pezzo piacevole.
Blood of Bannockburn è uno dei pezzi degni di riguardo, secondo estratto del disco: strofe elementari, cornamuse, melodia accattivante con richiami di tastiera vagamente settantiani. Seguono la traccia vocale Diary of an Unknown Soldier e The Lost Batallion, brano usato come presentazione di The Last Stand ; anche qui viene esposto il tallone d’Achille del gruppo di Falun, ossia i testi: in Winged Hussars si sentono cose come “(…)storm clouds fire and steel”, roba che perfino il generatore automatico dei testi dei Manowar s’annoierebbe a scrivere.
Bella, molto, Rorke’s Drift, la title-track trova il proprio svolgimento in Italia, durante la presa di Castel Sant’Angelo, probabilmente la canzone più spiccatamente Sabaton del disco; segue Hill 3234, tre minuti e mezzo di cavalcata. Scelta inusuale, dove la batteria è protagonista e si sente una composizione dinamica ed ispirata – tra i miei brani preferiti con Rorke’s Drift e Blood of Bannockburn – affiancata da Shiroyama, pezzo energico, che a volte incappa nel prevedibile, però sono i Sabaton, e un po’ come Rumiko Takahashi, anche loro inciampano nella ridondanza ciclica.
Sulle ultime due, poco da dire: Winged Hussars ha un testo che mi fa venire reazioni psicosomatiche e poi c’è The Last Battle, che è squisitamente Ottantiana, con quel sintetizzatore e un assolo vagamente à la Van Halen che fa capolino verso metà canzone. Molto carine anche le bonus track, selezionate tra produzioni classiche (troviamo Afraid To Shoot Strangers degli Iron Maiden e All Guns Blazing dei Judas Priest) e meno note, come Camouflage di Stan Rigdway (uscita benissimo, andate ad ascoltarla ORA), artista scoperto proprio grazie a questa cover.
In sintesi, questo è un classico lavoro nello stile della band, tastiere (protagoniste in maniera schiacciante rispetto alle uscite precedenti), chitarre ben presenti, batteria senza colpi di scena e basso un po’ evanescente, forse soffocato dalla pienezza dei restanti strumenti e dei cori (ne soffre in particolare Hill 3234 ).
The Last Stand è un lavoro dall’impatto massiccio e con una produzione della Madonna, ma non riesce ad andare al di là dei predecessori (peccato, Heroes, del 2014, è un album carino), consegnando al pubblico degli estratti godibili. Senza crogiolarsi nella nostalgia per brani come Ghost Division, To Hell and Back, Primo Victoria, ecc., si può dire che non siano i Sabaton al meglio delle loro capacità, ma in una discografia dalla media discreta, questo disco fa volume e non la differenza.
L’ascolto prolungato dei Sabaton può farvi spuntare dei pettorali cromati, ve lo dice lui.
Tracklist
- Sparta - 4'24"
- Last Dying Breath - 3'22"
- Blood of Bannockburn - 2'54"
- Diary of an Unknown Soldier - 0'51"
- The Lost Battalion - 3'35"
- Rorke's Drift - 3'26"
- The Last Stand - 3'55"
- Hill 3234 - 3'29"
- Shiroyama - 3'31"
- Winged Hussars - 3'51"
- The Last Battle - 3'12"
- Valutazione: 7 / 10