È ormai dal lontano 2009 che – partendo dal territorio della Valle Camonica, all’estremo Nord della provincia di Brescia – un’oscura e indefinita entità si aggira fra noi, un guardiano incappucciato che monita – anzi, meglio di no, brutta immagine… che indica ad ognuno di noi la strada da seguire. Ora che il tempo delle rivelazioni è giunto, il Guardiano si mostra, ed insieme a lui lo fanno anche Pietro Toloni (clean vocals e basso), Cesare Damiolini (growl vocals e chitarra), Freddie Formis (chitarra) e Dylan Formis (batteria), ovvero gli Hell’s Guardian, che abbiamo incontrato a pochi giorni dall’uscita dell’atteso album d’esordio.
L’album si intitola Follow Your Fate, è stato registrato presso gli studi Media Factory di Esine (BS) nello spazio di una trentina di giorni e la sua uscita è prevista attorno alla metà di questo mese, mentre il release party si terrà il prossimo sabato 22 Marzo presso il Circolo Colony Brescia, una serata che ci vedrà sul palco insieme ad altre prestigiose band quali Diabula Rasa, Vallorch e Folk Metal Jacket.
In quale casella dell’ormai infinito mosaico costituito dalla musica una volta chiamata semplicemente «Heavy Metal» collochereste il vostro genere?
Non ci siamo mai soffermati troppo sul definire precisamente ciò che suoniamo, né tantomeno sul cercare di coniare un nuovo termine per provare a differenziarci, ma la definizione «Melodic Death Metal» è sicuramente quella che inquadra meglio la nostra proposta. Non abbiamo riferimenti o ispirazioni particolari, ma band quali Amorphis o Ensiferum hanno quell’approccio nel quale in un certo qual modo ci riconosciamo, pur senza rifarci direttamente a quelle specifiche proposte.
Seguendo le liriche, risulta evidente la connotazione quasi “Folk” dei testi: cosa vi ha portati a scegliere queste tematiche?
Siamo partiti dall’idea di evitare argomenti poco “naturali”, lontani dalla nostra realtà. Per capirci, gli Amorphis risultano credibili quando utilizzano le liriche del “Kalevala”, ma essendo finlandesi è logico che ciò accada visto che quel testo fa parte della loro tradizione, mentre se fosse un gruppo italiano ad interpretarlo i risultati suonerebbero quantomeno artificiali, forzati. Ecco perché l’imbatterci in un libro che raccoglieva gran parte delle antiche leggende legate al territorio della Valle Camonica ci ha dato un grande stimolo, mettendoci nella condizione di poter sviluppare liriche basate su tematiche nelle quali possiamo rispecchiarci, che sono parte della nostra terra, e quindi anche di noi stessi.
Non si tratta, comunque, di un concept album.
No. Abbiamo valutato la possibilità di sviluppare un concept, ma sia il processo compositivo che la sua realizzazione pratica avrebbero richiesto troppo tempo, e non volevamo attendere ancora prima di entrare in studio. Diciamo che, in riferimento al libro in questione ed alle leggende in esso racchiuse, i testi sono “liberamente tratti da”, visto che abbiamo in parte adattato le vicende aggiungendo qualcosa di nostro alla storie originali. C’è poi un brano strumentale, intitolato “Middle Of Earth”, che è in pratica un medley dei temi principali tratti dalla trilogia del Signore degli Anelli, una scelta che potremmo definire “alternativa” rispetto alla classica cover.
Un aspetto positivo emerso negli ultimi anni a livello discografico è quello delle collaborazioni, ovvero l’ospitare nel proprio disco altri musicisti: avete fatto anche voi questa scelta o avete optato per qualcosa di più “tradizionale”?
Anche noi abbiamo voluto arricchire il disco con alcune collaborazioni, e usiamo il termine «arricchire» con una motivazione ben precisa, perché anche un’ospitata che sull’album si limita anche solo a pochi secondi lascia dietro di sé una nuova esperienza, un’occasione di scambio che va oltre l’amicizia che lega un musicista ad un altro e che rappresenta una reciproca occasione di crescita, artistica e umana: ecco perché sull’album abbiamo avuto il piacere di ospitare Lisy Stefanoni degli Evenoire, Davide Cantamessa e Mauricio Carrion dei Taste Hematic Chains, e Fabrizio Romani, che oltre alla veste di produttore ha indossato quella per lui comunque comoda di chitarrista.
La prima sensazione data da un qualsiasi disco viene trasmessa dalla copertina, e nel vostro caso avete fatto le cose davvero alla grande…
Ci siamo affidati a Jan “Örkki” Yrlund, un quotatissimo grafico (nonché musicista) finlandese che ha lavorato per un’infinità di band, fra cui spiccano sicuramente i nomi di Manowar e Korpiklaani, formazione per la quale ha realizzato quasi tutte le copertine. Non si è trattato di una scelta esterofila, ma dopo esserci scontrati con atteggiamenti poco professionali (per non dire di peggio) da parte di veri o presunti grafici italiani, abbiamo provato a contattare Jan, i cui lavori ci erano sempre piaciuti: la cosa sorprendente è stata – oltre all’immediata ed entusiastica risposta – la sua assoluta disponibilità, tale che alcuni interventi sono stati effettuati praticamente in tempo reale, una e-mail dopo l’altra. È triste da dire, ma ancora una volta l’Italia è riuscita a distinguersi per approssimazione e incompetenza, e ce ne dispiace molto.
La promozione dell’album prevede anche un video: quale brano avete scelto? E perché?
Il brano designato è “Away From My Fears”, realizzato da Silvano Richini in parte presso gli studi di Esine e in parte in esterni (al momento di questa intervista le riprese non sono ancora state completate, ndr). La scelta è stata piuttosto facile, visto che riteniamo questo pezzo come il più rappresentativo dell’album, la traccia ideale per presentare il disco. In parole povere, quello che una volta si chiamava «singolo».
Dopo i doverosi anni di gavetta vi accingete ad entrare ufficialmente in quell’autentico campo di battaglia in cui si è trasformata in ogni suo aspetto la scena musicale, nazionale ed internazionale: quali prospettive avete, e come vedete il suo futuro?
Per quanto ci riguarda, speriamo di suonare il più possibile, così da poter presentare il nostro lavoro al maggior numero di persone, anche perché la vendita del disco in sé non rappresenta più – da anni – il tramite principale per diffondere la propria musica. Sulla scena musicale, invece, siamo un po’ meno fiduciosi e, senza voler fare i pessimisti a priori, riteniamo che la situazione già oggi estremamente precaria non potrà far altro che peggiorare.
Per quale motivo?
Al centro di tutto, come è logico che sia, sta il pubblico, ed è lì che si annidano le problematiche, due in particolare. Innanzitutto c’è un’evidente carenza di cultura musicale, intesa come desiderio di ricerca di nuove proposte, di curiosità nei confronti dei nuovi gruppi: di sicuro l’immenso materiale a disposizione grazie a Internet ha messo in difficoltà anche i più volenterosi, ma è un dato di fatto che un locale che azzardi puntando su una giovane band con pezzi propri si ritrovi regolarmente con meno gente rispetto alle serate con artisti affermati (e ci sta) o cover band (e qui ci sta un po’ meno). In secondo luogo, non dobbiamo dimenticare che le disponibilità economiche si sono ridotte un po’ per tutti, o che – quantomeno – tutti fanno un po’ più attenzione a come spendere il proprio denaro: è quindi logico che fra un gruppo sconosciuto ed un grande nome, la scelta cada su quest’ultimo, perché all’atto pratico diventa difficile potersi spostare per entrambe le serate, difficoltà accentuata dai prezzi dei biglietti, che spesso sono fuori da qualsiasi logica, e qui la colpa non è né dei gestori, né degli artisti, ma di agenzie voraci e di costi fissi (SiAE su tutti) che sono diventati assurdi. È chiaro, quindi, che con questo stato delle cose l’ottimismo tenda a diventare un lusso…
Mentre a livello locale?
Anche al di là del panorama Metal, la Valle Camonica (come del resto un po’ tutta l’Italia) sta esprimendo realtà davvero interessanti, con ottimi musicisti in grado di variare fra i generi più disparati, e questo segnale di vitalità e creatività è molto positivo. L’augurio è che questa onda si riveli il più lunga possibile, con un sempre maggior numero di artisti in grado di realizzare le proprie idee e proporle dal vivo, su un palcoscenico. Perché, in fondo, dovrebbe essere quello il destino di ogni musicista.
Che strana cosa, il destino.
Per qualcuno rappresenta l’inevitabile (dalla predestinazione calvinista al pessimismo sistematico), per altri è un percorso da costruire giorno dopo giorno, scelta dopo scelta. L’unica cosa certa è che nessuno può prevedere quale sarà il proprio, perché, sia subendolo che cercando di anticiparlo, resterà sempre lì, un passo avanti, irraggiungibile finché sarà esso a volerlo. E a noi non resta che seguirlo, sperando non ci giochi brutti scherzi e – soprattutto – che ci conduca proprio dove volevamo arrivare.
Anche su un palcoscenico.