Katatonia: per me si va ne la città dolente…

Katatonia: per me si va ne la città dolente…

La pubblicazione della prima intervista per un nuovo progetto editoriale rimanda inevitabilmente all’aforisma di Oscar Wilde che sottolineava come non esiste una seconda occasione per lasciare la prima impressione. Ma iniziare con un interlocutore del calibro di Anders Nyström, fondatore (insieme a Jonas Renkse) di una band fondamentale come i Katatonia, rappresenta un inizio che potremmo definire discreto…

Dopo quattro anni di silenzio siete tornati in scena con un nuovo album. Come vuoi presentarlo, anche in paragone con The Fall Of Hearts?

È sempre difficile, dalla prospettiva di chi ne è stato coinvolto creativamente, sottolineare le differenze o le similitudini fra i propri dischi. Anziché fare questo tipo di analisi preferisco che siano le sensazioni a emergere, anche se ciò che so per certo è che volevamo pubblicare un album che fosse conciso, più breve e diretto rispetto a quello precedente. Oltre a questo, si è semplicemente trattato di un altro capitolo nel nostro provare a scrivere, registrare e produrre il miglior materiale possibile, ovvero ciò che è sempre stato il nostro obiettivo.

La tracklist include canzoni (Lacquer, Vanishers, City Glaciers, Flicker) tanto affascinanti quanto innovative per i Katatonia, a mio avviso la prova del nuovo livello raggiunto dalla crescita artistica che vi ha caratterizzato in tutti questi anni: pensi sarà questa la direzione che prenderete per il prossimo album?

È impossibile da dire in questo momento. Vogliamo spingerci al limite in ogni direzione. Se ad esempio consideriamo brani come Lacquer e Behind The Blood penso che abbiamo lavorato per creare qualcosa di molto, molto vario, in grado di mostrare i grandi contrasti che sottolineano quanto lontano abbiamo portato il nostro suono. La nostra musica si è letteralmente estesa su diversi generi, mantenendo comunque l’identità dei Katatonia. E non è una cosa comune nella scena metal! Vogliamo esplorare ognuno dei sentieri che si aprono davanti a noi, proprio come vogliamo continuare a scrivere quelle canzoni tipicamente Katatonia che ancora rappresentano gran parte della nostra storia.

La selezione dei singoli rilasciati come video è stata tanto varia quanto azzeccata, inziando con la sorprendente Lacquer, proseguendo con la rassicurante (per i fans…) Behind The Blood e concludendo con l’accattivante The Winter Of Our Passing: perché avete scelto proprio questi brani così differenti fra loro?

Con Lacquer abbiamo volute sfidare l’ascoltatore con qualcosa di diverso e inaspettato, piuttosto che proporre qualcosa di troppo prevedibile. Secondo me, questa è una delle più belle canzoni che abbiamo mai scritto ed è stata questa la ragione che ha motivato la sua scelta come primo assaggio! Per me è subito diventato un brano importante, ma ciò significa che rappresenta tutto l’album? Ovviamente no! La stessa cosa vale per il secondo singolo, Behind The Blood, con cui abbiamo continuato ad alimentare la confusione ruotando di 180 gradi e proponendo qualcosa che i nostri fans probabilmente non ci avevano mai sentito fare prima: un classico brano hard rock! Una cosa stilisticamente poco convenzionale per i Katatonia, ma rivelatasi una scelta che ha funzionato! Così, mentre il pubblico si chiedeva quale fra queste due canzoni rappresentasse l’identità dell’album… la confusione ha aumentato le aspettative! E quando infine abbiamo pubblicato il terzo singolo, The Winter Of Our Passing, che è più aderente al tradizionale sound dei Katatonia, il messaggio è arrivato: i primi due singoli erano wild cards e, quando l’album è uscito, ognuno ha potuto scoprire l’ampio territorio che abbiamo mappato, in cui ogni svolta è diversa dalle altre.

Questo è il primo album che vede Roger Öjersson completamente coinvolto nel processo creativo: quanto è stato importante il suo contributo al songwriting rispetto a The Fall Of Hearts?

Jonas aveva scritto la maggior parte dell’album da solo, quasi come si fosse trattato di un suo album solista, ma l’abbiamo trasformato in un disco dei Katatonia quando sono intervenuto nel finalizzare gli arrangiamenti, per poi co-produrlo insieme. Il contributo di Roger è stato il suonare gran parte delle chitarre. In effetti l’ho incoraggiato a prendersi uno spazio maggiore del mio, dato che in questo periodo mi trovo meglio nel ruolo di produttore: mi interessa solo ciò che andrà a migliorare la canzone nel modo più efficace possibile, e mi piace concentrarmi sui dettagli più complessi, senza per questo perdere di vista la prospettiva più ampia.

Ascolto i Katatonia dai tempi di Brave Murder Day e non penso ci siano molte altre band in grado di evolvere costantemente la propria musica, album dopo album, come avete fatto per quasi 30 anni. Cosa vi porta ad aggiungere sempre nuovi elementi alla vostra musica? E decidete quale direzione dare al disco prima di iniziare a scriverlo?

Di norma parliamo delle nostre rispettive visioni, condividiamo frammenti di idee e proviamo a concordare su quel determinato tema/vibrazione che sarà alla base del nuovo capitolo. Idealmente, un album si scrive da solo grazie a queste ispirazioni. Mi piace vederci come custodi equipaggiati con attrezzi personalizzati e impegnati nel far sì che la grande macchina che i Katatonia sono diventati continui a viaggiare a tutto vapore.

Il mondo sta affrontando una terribile situazione a causa dell’epidemia di Covid-19, e la musica sta pagando un prezzo altissimo con la cancellazione di migliaia e migliaia di concerti. Nonostante questo, avete comunque pubblicato il nuovo album, pur con la consapevolezza di non poterlo promuovere in tour, almeno nell’immediato. In questa prospettiva, cosa ti aspetti dal futuro?

Ci auguriamo che i fans abbiano apprezzato la nostra decisione di pubblicare l’album durante il picco del lockdown anche se avremmo potuto rinviarne l’uscita. In effetti, l’etichetta voleva posticiparlo, ma abbiamo immaginato che i fans avrebbero avuto bisogno di questo disco ora più che mai. È stata una primavera assurda! Ovviamente ora ci troviamo con le spalle al muro, visto che non possiamo spingere il disco né dal vivo né con le abituali attività di promozione, almeno fino a quando le cose torneranno a essere normali; ma speriamo si sia dimostrata una scelta valida in questi tempi di grande incertezza. Riguardo al futuro, onestamente non so cosa ci aspetterà: finché il mondo non si sarà ripreso e le restrizioni saranno completamente revocate, potremo solo fare la nostra parte e tenerci pronti.

Un’ultima curiosità: c’è qualcosa di nuovo all’orizzonte per i Bloodbath?

Abbiamo già individuato l’atmosfera e la direzione da prendere, e iniziato pian piano a scrivere e cazzeggiare attorno a idee che potrebbero trasformarsi nel telaio di nuove canzoni. Sarà molto divertente!

Grazie per la disponibiltà, Anders. Spero di vederti al più presto sul palco in Italia.

Lo spero anch’io! Grazie per il supporto. Ciao!

È stato piuttosto complicato realizzare questa intervista, fra reclusioni forzate, incertezze epocali e tempistiche che si allungavano. Ma, alla fine, ce l’abbiamo fatta, e devo aggiungere che ne è davvero valsa la pena, sia per la qualità dell’interlocutore, sia perché mi piace immaginare questo nuovo disco firmato Katatonia come un ideale punto di contatto fra il prima, il durante e il dopo pandemia, con un «prima» che nasconde ancora troppi misteri, un «durante» che purtroppo conosciamo assai bene e un «dopo» che – mi auguro – riesca a sorprendere positivamente proprio come i brani contenuti in City Burials. Perché se poco più di quattro mesi fa sembrava fossimo entrati in un momento in cui lasciare ogni speranza, oggi dobbiamo provare a uscire per rivedere le stelle. Ma con la giusta colonna sonora.